SE LA TUTELA DIVENTA RAGNATELA
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“Diritti alla Follia” “Amministrazione di sostegno : Se la tutela diventa ragnatela”
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A 18 anni dalla sua introduzione nel Codice Civile, la Legge 6/2004 istitutiva della figura dell’Amministratore di Sostegno, che veniva presentata come una forma di tutela giuridica più blanda ed elastica rispetto all’interdizione e all’inabilitazione, è diventata, in moltissimi casi, uno strumento attraverso il quale è possibile limitare fortemente la libertà e violare i diritti dei diretti interessati, cosiddetti “beneficiari“.
È infatti emerso nel corso degli anni, sia dagli organi di stampa che dalle testimonianze degli amministrati o dei loro familiari, un forte malcontento sull’operato di un numero sempre crescente di amministratori di sostegno.
Capita raramente che la cronaca dia conto di vicende connesse all’istituto giuridico dell’amministrazione di sostegno. Quando accade è perché purtroppo si sono verificati casi di mala gestione o comunque illeciti legati al patrimonio dell’amministrato.
Purtroppo però non si tratta solo di questo: forse in tanti non sanno che, nonostante la legge non preveda che l’amministratore si sostituisca totalmente al “beneficiario”, questa è la tendenza che si è venuta ad instaurare. Spesso è l’amministratore ad interfacciarsi con i servizi sanitari e/o prestare al posto dell’amministrato il consenso informato alle cure e ad effettuare le scelte al suo posto.
Si assiste così, del tutto inconsapevoli, impreparati, non debitamente informati e/o ascoltati, all’emanazione, da parte dei Giudici Tutelari, di decreti che conferiscono “ampi poteri” agli amministratori di sostegno, spesso estranei alla famiglia, in cui si prevede, oltre alla gestione del patrimonio, anche il consenso informato ai trattamenti sanitari, ai ricoveri, agli esami diagnostici etc., spesso in presenza di soggetti assolutamente capaci di esprimere un giudizio, parere, consenso o dissenso.
L’utilizzo concreto dello strumento gestionale dell’istituto dell’amministrazione di sostegno si esprime spesso sotto forma di mera costrizione della persona sottoposta a tutela, sovente senza possibilità di replica dato che, quasi sempre, i Giudici Tutelari si interfacciano esclusivamente con gli amministratori, i sanitari e i servizi sociali, escludendo anche i familiari quando definiti “non collaboranti”.
Per quanto concerne i diritti dei soggetti con disabilità,
la Convenzione ONU (ratificata dall’Italia attraverso la promulgazione della legge 18/2009), all’art. 12 riconosce loro piena capacità giuridica, ne sancisce “pari riconoscimento davanti alla legge” e stabilisce che il supporto al processo decisionale venga effettuato nel rispetto della loro volontà e delle loro preferenze.
Criticità
La legge sull’amministrazione di sostegno così com’è in molti casi funziona benissimo. Purtroppo però contiene delle trappole logico-giuridiche che consentono anche di utilizzarla come strumento di interdizione impropria su qualsiasi soggetto debole. Essa estende infatti smisuratamente le categorie di persone sottoponibili al provvedimento, perché stabilisce che il Giudice Tutelare possa sottoporre ad amministrazione di sostegno, su richiesta o segnalazione, la persona afflitta da una “infermità o menomazione fisica o psichica” che la renda “anche solo parzialmente e temporaneamente” impossibilitata a provvedere ai suoi interessi.
La legge non offre la minima certezza giuridica sulla tipologia ed il grado dell’infermità e dell’incapacità necessarie e sufficienti a limitare le libertà della persona (perché di questo si tratta), sottoponendo la vita di un qualsiasi soggetto fragile, ed i suoi beni, ad un amministratore di sostegno, che molto spesso si sostituirà alla volontà del soggetto, negandone così il diritto costituzionale ad autodeterminarsi nel rispetto delle leggi vigenti.
Si rileva una certa ambiguità nella Legge n. 6/2004 laddove il Giudice Tutelare competente può, discrezionalmente e senza garanzie particolari, imporre un amministratore di sostegno diverso da quello scelto e pre-designato dallo stesso beneficiario. Giova ricordare, inoltre, che non costituisce condizione necessaria per l’applicazione della misura dell’amministrazione di sostegno la circostanza che il beneficiario abbia chiesto o, quanto meno accettato, il sostegno e abbia indicato la persona da nominare, nel senso che il rifiuto non preclude l’istituzione della protezione giuridica nei suoi confronti.
Attraverso prassi ormai consolidate dai supposti legislativi dalle maglie molto ampie, l’istituto dell’amministrazione di sostegno può dare origine a veri e propri abusi che il Giudice Tutelare ha il potere e l’obbligo di impedire verificando le relazioni periodiche degli amministratori, ma che nel concreto non ne ha né il tempo né i mezzi, e finisce per autorizzare o lasciar compiere anche operazioni quantomeno discutibili.
La legge 6/2004, non può e non deve assumere connotati di ulteriore menomazione, limitazione personale e violenza psicologica nei confronti dei soggetti deboli e/o delle loro famiglie, poiché non è con, e per quello scopo, che è stata istituita.
Dalla relazione del Garante Nazionale per i diritti delle persone private della libertà personale, anno 2020 (La Persona Tutelata):
“Spesso, si concretizza il rischio che lo strumento giuridico della tutela possa paradossalmente diventare ‘garanzia’ di esclusione della persona, certamente fragile, ma non per questo incapace di comprendere la sua vita e le decisioni che la riguardano, trovandosi così, suo malgrado e nonostante le previsioni delle norme sovranazionali, a essere sottratta a una vita libera.”
LEGENDA ACRONIMI
A.D.S. Amministrazione/tore di Sostegno
C.R.P.D. Convention for the Rights of People with Disabilities
P.O. Personal Ombudsman
D.S.M. Distretto Salute Mentale
C.S.M. Centro Salute Mentale
C.P.S. Centro Psico Sociale
T.S.O. Trattamento Sanitario Obbligatorio
A.S.O. Accertamento Sanitario Obbligatorio
G.T. Giudice Tutelare
S.I.L. Servizio Inserimento Lavorativo
R.S.A. Residenza Sanitaria Assistita
C.R.T. Comunità Riabilitazione Terapeutica
R.E.M.S. Residenza per l’Esecuzione Misure di Sicurezza
TI INVITIAMO AD ISCRIVERTI ALLA NOSTRA ASSOCIAZIONE
TESTIMONIANZE: (espandi per visualizzare)
Qui di seguito alcune testimonianze a noi pervenute, su esperienze negative avute con gli amministratori di sostegno. Ringraziamo quanti ci hanno scritto e quanti continueranno insieme a noi questo necessario e lungo percorso. Rinnoviamo il nostro invito ad inviarci le vostre testimonianze.
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E.F.
Buongiorno, sono una disabile, ero ogni giorno assistita da un bravo operatore che mi assisteva negli atti della vita, dopo che ho avuto una diagnosi di malattia mentale me lo hanno tolto, sono stata licenziata e un assistente sociale che non mi conosce mi ha messo un ADS, io chiesi aiuto ad una associazione che si batte per i diritti dei disabili, all’inizio mi risposero poi sparirono. Ancora adesso aspetto che qualcuno si interessi alla mia storia ma nessuno si fa mai vivo.
A tutto questo si aggiunge che sono stata derubata dei miei risparmi.
U.R.
La mia non è una situazione felice, il mio non può considerarsi un caso ben gestito.
La famiglia intera e le badanti si azzuffano, mi derubano, usano la psichiatria e la polizia per punirmi.”Se non accetti l’invalidità sei malato di mente” – questo mi dice lo psichiatra, vuole parlare solo lui.
Lui, gli operatori, negano la realtà domestica che vivo, zeppa di malesseri e perversioni dei familiari e di qualche condomino, ma giustificano la mia presa in carico coatta. Continue chiamate al DSM e alle forze dell’ordine, TSO e ADS, internamento e interdizione. Dopo 12 anni l’assegno mensile di 270 euro lo gestiranno emissari e diagnosti; mi sento danneggiato dai neurolettici, da cattiva alimentazione e dall’internamento a vita presso questi luoghi segreti chiamati SIR (Strutture intermedie residenziali) o Comunità ad alta protezione per residui manicomiali o psicotici, luoghi mai scoperti ed indagati, dove raramente sono effettuati controlli dai NAS dei Carabinieri.
Ho assistito a violenze su altri pazienti.
Le invalidità civili per malattia mentale sono proprio la privazione di tutti i diritti che devono essere liberamente esercitati per garantire il benessere sia mentale che fisico, quindi la stessa salute mentale, lo star bene con se stessi e gli altri. Mi sento privato delle possibilità concrete di affrontare la sofferenza , la vita, di crescere, di essere autonomo e incluso nel mondo sociale.
Chi ha capito e sa intende, chi è estraneo e si improvvisa sapiente continui a fantasticare.
Si impadroniscono della vita altrui, ne fanno ciò che vogliono, la distruggono.
Ho chiesto aiuto a chi si dice contro gli usi e abusi della psichiatria, la continua risposta non è altro che quella di accettare la realtà e sottostare, non ribellarsi e comportarsi bene, abbassare la testa, quindi mi hanno dato torto al pari degli altri.
Se mi rifiuto mi fanno la lobotomia chimica; TSO e ADS o REMS, costretto nuovamente ad essere folle come tutti i folli, contro la mia volontà, “bravo” fare il “bravo”,pensare e agire come loro, facendo come loro male a se stessi e agli altri. Questo è il prezzo della negazione: negazione della realtà, dei diritti/doveri, dei conflitti, del tempo e degli spazi, dei luoghi e delle persone stesse.
Mi hanno tolto il diritto di lavorare, vorrei vivere da solo lontano da tutti.
Non ho diritto al tempo, allo studio, allo spazio, alla mia libertà e alla tranquillità, né ad avere i miei soldi del mio conto online che gestisce mio cugino indebitamente. Ed è vietato denunciarli. Chi li autorizza? Non hanno titolo, facoltà e autorità per farlo. Qui si sta scherzando con la mia vita
A.F.
La mia è stata ed è una sostituzione, quasi non esistessi.
In 5 anni mi è costata 7000 euro per fare documenti per la successione ereditaria che non hanno ancora finito. Per non parlare dei TSO che mi hanno fatto, dovuti alla situazione insopportabile nella quale mi trovo, veri e propri sequestri di persona. Il resto non è sintetizzabile. Sono caduta in un tranello. Il giudice continua a prorogarmi l’ADS per questi ricoveri in psichiatria.
M.B.
Anche per mio figlio abbiamo preso l’ADS. Avevo chiesto ad un avvocato, si è preso 1500 euro, spendeva continuamente e mio figlio non ha più voluto. Il giudice ha nominato un altro amministratore tramite un’associazione che si è presa subito 600 euro. Sarebbe stato bene che l’ADS fosse un familiare, me ne rendo conto solo ora, e mi sembra sia troppo tardi.
Un avvocato mi ha detto che fare l’ADS è una rogna …
Mio figlio prende l’assegno di invalidità di 280 euro al mese e questi non gli dà neanche la tredicesima perché dice : ” ci sono le spese”, oltre a prendersi altri soldi sempre con l’autorizzazione del giudice tutelare. A noi genitori non dice niente, chiede solo soldi, noi siamo solo gli ufficiali pagatori.
M.A.
L’ADS ha risolto tutti i problemi relativi all’aspetto economico senza mai dare peso alla mia volontà perché ero soltanto una persona malata di mente come dichiarato dai medici ospedalieri.
C.S.
Non sono contenta di come operano giudice tutelare e ADS nei confronti delle mie richieste. Mia madre subisce tutti i giorni la violenza della Legge 6/2004.
Sono la figlia di una signora di 81 anni affetta da deterioramento cognitivo avanzato, ricoverata presso una struttura convenzionata e soggetta ad ADS dal 2013.
Mia madre soffre di allucinazioni e delirio sin dall’insorgenza della sua malattia neurodegenerativa, negli anni è stato redatto specifico piano terapeutico per la sua persona, da uno psichiatra del CSM prima e poi da un neurologo del SSN, presso l’ospedale, che però dal 2017 è andato in pensione.
Da allora la dose di psicofarmaco è stata progressivamente ridotta dal medico di medicina generale (MMG) che collabora con la struttura per tutti gli ospiti paganti. Ciò ha comportato una recrudescenza del delirio in mia madre che sembra immersa in una trance dolorosa, dove piange e si dispera e si lamenta per ore, non riesco ad interagire con lei se non con grande fatica a causa della sua totale assenza dalla realtà circostante.
Ho provato a segnalare il problema agli infermieri diverse volte, ma loro si rifiutano di parlarmi o negano che il problema esista. Ho quindi richiesto di far fare una visita specialistica a mia madre con spesa a mio carico, nulla si è risolto però: la geriatra (da me scelta su indicazione di altri familiari e alla quale avevo delineato precisamente le mie perplessità) venuta a visitare mia madre in struttura dichiara, al contrario di quanto mi aveva assicurato al telefono precedentemente, che non si sentiva di poter cambiare o alterare in alcun modo la terapia prescritta dal MMG, limitandosi a redigere una relazione del tutto vaga e di valutazione molto superficiale, addebitando le lamentele e il pianto di mia madre a una generica “richiesta di aiuto” tipica dei malati di quella malattia neurodegenerativa.
Recentemente ho chiesto nuovamente all’ADS di poterle far fare una visita specialistica, questa volta da parte di uno psichiatra esperto, ma l’ADS mi ha scritto:
- di non sapere nulla della sofferenza di mia madre (la stessa dell’anno scorso) visto che i sanitari della struttura non lo hanno informato di nulla al riguardo (ma il problema è lo stesso dell’anno scorso);
- di poter autorizzare la visita solo se presente anche mio fratello.
Specifico che detto ADS, così come il giudice tutelare, è ben a conoscenza della violenza e dell’aggressività sistematica di cui sono stata fatta oggetto da parte di mio fratello. Nel 2017 è stato precluso a tutti i famigliari il contatto con i sanitari della struttura, provvedimento scaturito dalla rinuncia di mio fratello alla potestà sanitaria su nostra madre. Il giudice tutelare l’ha accolta senza esitazione ma ha anche escluso tutti gli altri famigliari da questo diritto, me compresa.
Questo allontanamento ha sicuramente portato gravi conseguenze allo stato di mia madre, la continuativa frequentazione quotidiana con lei mi ha reso una brava interprete delle sue esigenze e poi io conosco il suo trascorso medico, potrei dare notizie utili a chi si prende cura di lei in questo momento. Come può essere che il Giudice Tutelare a questo non dia importanza?
Se chiedo delle visite specialistiche a mie spese continuano a impormi come condizione preliminare la presenza di mio fratello, eppure le spese rimarrebbero a mio totale carico, mio fratello non vuole contribuire in nulla per la sua congiunta. Per rimediare a questo ho anche più volte proposto di recapitare a lui il certificato finale di visita.
Non solo mi è stata preclusa la potestà sanitaria, mi sono stati vietati dal giudice anche i rapporti puramente conoscitivi sulle condizioni di salute di mia madre, questo perché l’ADS gli ha riportato che la sottoscritta non aveva fatto “del suo meglio per andare d’accordo con la struttura”, non menzionando quindi tutti i problemi che la struttura stessa aveva causato a mia madre e che sono stati puntualmente da me segnalati allo stesso ADS. Ciò comporta che se mia madre sta male, se viene portata in ospedale, nessuno mi dice ciò che è successo. Questo trattamento è stato voluto per me dai dirigenti della struttura e dall’ADS di mia madre, ratificato e approvato dal giudice tutelare, senza nessuna possibilità di replica o di difesa della mia persona. Tale atteggiamento psicologico e morale proviene inoltre da dirigenti strettamente osservanti della fede cattolica, essendo la struttura di proprietà della Curia territoriale.
Le mie istanze al tribunale, per l’ADS, non hanno avuto alcuna risposta né è di mia conoscenza se siano effettivamente pervenute all’attuale GT. Questa mancanza di segnali, di comunicazione tra Istituzioni e cittadini immagino sia un comportamento solito, passa per normale e non mi sembra giusto.
F.B.
La storia psichiatrica di mio fratello, inizia nel 1999 con il primo ricovero in psichiatria. Seguono altri ricoveri negli anni fino a che nel 2003, viene inserito in una comunità C.R.T. per circa un anno per poi fare ritorno a casa. La diagnosi è schizofrenia (uditore di voci). La stessa identica terapia per tipologia e quantità, all’uscita della comunità, verrà protratta in tutti gli anni a venire, fino al 2020 (antipsicotici, antidepressivi, ansiolitici). Un anno dopo quell’evento, nel 2004, decido di distaccarmi dalla famiglia ed inizio una convivenza, ancora attuale, con la mia compagna, a circa 30 km di distanza, in altra provincia adiacente. Mantengo negli anni i rapporti con la famiglia. Arriviamo al 2017, anno in cui entrambi i nostri genitori si ammalano di cancro e decedono pochi mesi dopo, a cavallo tra il 2017 e 2018. Fin dall’inizio del decorso dei nostri genitori, mi occupo di mamma, papà e mio fratello. Dopo i primi mesi di malattia, decido volontariamente di dimettermi dall’azienda per quale lavoravo, con ruolo tra l’altro cardine per l’attività. Prendo questa decisione in quanto iniziavano ad essere numerosi i ricoveri in emergenza dei nostri genitori e per poter seguire più da vicino mio fratello. Contestualmente inizio a prendere rapporti anche con il CPS di mio fratello, sostituendomi in toto ai miei genitori.
A giugno 2018, si chiudono le 2 successioni per decesso dei nostri genitori ed io e mio fratello, ereditiamo tutto al 50% non essendoci testamento specifico. Ereditiamo sia immobili, sia una consistente liquidità economica, sempre al 50%. Tra gli immobili ereditati, vi è una casa sfitta da anni, in condizioni vetuste, un piccolo negozietto in affitto ed un bilocale in affitto. Anche la casa dei nostri genitori diviene di nostra proprietà al 50% tra me e mio fratello. Appartamento che viene utilizzato esclusivamente da lui (quindi non 1° casa per il sottoscritto). Decido quindi come priorità, di poter mettere almeno in vendita l’immobile sfitto decadente, onde evitare inutili spese in quanto impossibile da mettere a reddito. Per fare ciò, decido di chiedere una procura semplice per agevolare un domani mio fratello, nelle pratiche notarili in quanto mio fratello, può spostarsi autonomamente solo entro un tot di km dall’abitazione dei nostri defunti genitori mentre per giungere in posti nuovi, preferisce almeno le prime volte, avere la sicurezza della mia presenza.
Tuttavia, pur avendo trovato nel frattempo un acquirente pronto ad acquistare e rogitare tale immobile, non abbiamo più notizie dal notaio che doveva rogitare. Mi contatta il notaio qualche settimana seguente, comunicandomi che, dopo essersi confrontata con la psichiatra del CPS che segue mio fratello, mi informa che non può più rogitare. Per rogitare, occorre che io chieda ad un tribunale di poter diventare ADS di mio fratello.
Tra l’altro contestualmente, la psichiatra storica di mio fratello che lo aveva seguito per 20 anni, decide di non tenerlo più in carico dopo che il sottoscritto ha effettuato poche settimane prima un incontro specifico con tale dottoressa per parlare espressamente della possibilità di un percorso alternativo al CPS, con altri medici, volto ad una dismissione graduale delle terapie farmacologiche fin dove possibile e a determinate condizioni (avvicinamento di mio fratello al sottoscritto). Tale possibilità viene espressamente negata e secondo il parere del CPS, mio fratello dovrà continuare ad assumere a vita le terapie prescritte valutando come assolutamente non attuabile, una riduzione nel tempo degli psicofarmaci, per tipologia e quantità.
A dicembre 2018, giungono quindi in tribunale, le pratiche per diventare ADS di mio fratello e a gennaio 2019, abbiamo la 1° udienza con il GT In occasione dell’udienza, dichiaro in modo del tutto trasparente al giudice che:
1) Dei 2 affitti che percepiamo, il 50% destinato a mio fratello è stato trattenuto dal sottoscritto diversi mesi dopo la chiusura delle successioni (antecedentemente infatti, utilizzo tutta la mia liquidazione dalla dimissioni lavorative), in virtù di un accordo tra me e mio fratello in quanto, quest’ultimo gode in via del tutto esclusiva dell’appartamento dei nostri genitori (mentre io, pago l’affitto con la mia compagna nell’immobile dove risediamo). Per me inoltre, l’appartamento dove vive mio fratello, non è prima casa e quindi mi sono ritrovato a pagare unicamente l’IMU (tra l’altro molto elevata) su tale immobile. Inoltre, pur avendone diritto, non ho mai chiesto alcuna indennità di locazione a mio fratello per l’utilizzo esclusivo dell’appartamento dei genitori defunti nonostante fosse in comproprietà al 50%.
2) A dimostrazione della mia totale trasparenza e buona fede nei confronti di mio fratello, riferisco al giudice che nonostante io incassi il 50% degli affitti di mio fratello, per me tutto ciò è comunque una perdita economica perché il mio stipendio, pre-dimissioni l’anno precedente, era ben più consistente rispetto la cifra totale incassata dagli affitti.
3) Informo il giudice del motivo esclusivo per richiedere di essere nominato ADS di mio fratello, ovvero poter vendere l’immobile sfitto vetusto come da richiesta del notaio ed un domani, poter trovare una soluzione abitativa per mio fratello più vicina a me e alla mia compagna, anche perché la zia che abita sotto casa di mio fratello, non gradisce la sua presenza. Quindi, vendere in futuro anche l’appartamento dei nostri genitori dove vive mio fratello per poter comprare un nuovo immobile vicino alla mia residenza. Questa soluzione comunque, da verificarne la fattibilità nei modi e nei tempi più opportuni per mio fratello, dato che lui ha sempre vissuto con i nostri genitori. Per nessun altro motivo, richiedo di diventare ADS di mio fratello in quanto lui conserva diverse autonomie.
Mio fratello in udienza, alla domanda del giudice riguardo la sua volontà di un possibile trasferimento abitativo più vicino al sottoscritto (o in convivenza previo acquisto di adeguato immobile) risponde che “ci devo pensare, al momento non sono sicuro di trasferirmi”, come normale che sia e in diritto di qualunque persona, prendersi del tempo prima di fare una scelta simile.
Passano alcuni mesi in attesa del decreto di nomina e a mia sorpresa, viene nominato come ADS di mio fratello, un commercialista con poteri unicamente amministrativi per gli atti di straordinaria amministrazione mentre per le scelte terapeutiche, tali decisioni rimangono totalmente in carico al beneficiario. Il GT in decreto dichiara che l’incasso del 50% degli affitti, è contrario agli interessi del beneficiario ed inoltre, rilevando in udienza che mio fratello non era sicuro di trasferirsi, interpreta la mia ipotesi/suggerimento di valutare in futuro il trasferimento di mio fratello come una forzatura nei suoi confronti adducendo quindi, che il mio comportamento, è inadeguato agli interessi e alle volontà del beneficiario. A mio fratello viene quindi limitato l’uso del suo conto corrente tramite una tessera che può essere ricaricata unicamente dall’ADS cosa che prima non aveva in quanto lui ha sempre avuto un suo bancomat gestito da lui in totale autonomia e mai in passato, anche in presenza dei genitori, ha utilizzato il suo denaro in maniera sconsiderata.
Nel corso di tutto il 2019, nonostante la nomina esterna di un ADS, continuo ad occuparmi di mio fratello. Tutte le settimane, lo porto 2 volte a settimana presso la mia residenza per fare assieme dei lavori di artigianato che a lui piacciono, facendo circa 200 km ogni settimana, per tutto il 2019. Questo in virtù del fatto, di aver chiesto che mio fratello, non frequentasse più una cooperativa che frequentava nel 2018 a causa di alcuni spiacevoli episodi che riportava al sottoscritto. Inoltre, propongo questa soluzione anche per iniziare ad abituare mio fratello ad allontanarsi da casa sua, viste le sue note storiche difficoltà a raggiungere e frequentare luoghi e persone a lui poco conosciuti, distanti da casa. Tutto ciò, dopo le prime iniziali difficoltà, avviene in maniera del tutto naturale per mio fratello tant’è che nel 2019, effettua con la mia presenza oltre 100 trasferimenti dalla sua residenza a casa mia, per fare questi lavori d’artigianato nel box del garage condominiale dove vivo.
Tralascio il dettaglio dei primi colloqui avvenuti tra il sottoscritto, la mia compagna ed il 1° ADS colloqui in cui in modo del tutto palese, l’ADS si pone nei miei confronti in modo molto provocatorio, cercando il più possibile di distaccare la mia presenza e i miei interventi nella vita e quotidianità di mio fratello. Da sottolineare che da inizio 2019 fino a maggio 2019, riesco con molta fatica a trovare uno psichiatra privato ed uno psicologo che dichiarano di potersi prendere in carico mio fratello anche in seguito ad un ipotetico trasferimento e che soprattutto, sono disposti a valutare positivamente un percorso mirato ad una possibile graduale riduzione delle terapie farmacologiche nel tempo, a differenza del CPS, come da volontà espressa più volte negli anni da mio fratello in famiglia. Difatti, nel corso dei primi mesi del 2019, i due professionisti privati effettuano diverse sedute di psicoterapia domiciliari con mio fratello e addirittura nell’ultima occasione, prima della nomina dell’ADS, mio fratello effettua anche una seduta di psicoterapia direttamente in studio da uno dei 2 professionisti, a molti KM di distanza da casa sua, questo a dimostrazione della capacità di mio fratello di allontanarsi anche molto da casa e di affrontare nuove sfide nella vita, con il mio supporto.
Tuttavia, nel 1° incontro fra mio fratello e l’ADS, l’ADS prova a indebolire la convinzione di mio fratello nel proseguire il percorso privato terapeutico che stavamo costruendo da alcuni mesi in accordo e fuori dal CPS, uscendo in tal modo dalle funzioni che per decreto gli spettano. Dice che sono troppo costosi i medici che abbiamo trovato e che il CPS è più vicino e comodo da raggiungere. Il percorso terapeutico privato di mio fratello viene di fatto, interrotto bruscamente dall’ADS non conoscendo inoltre minimamente, cosa era stato fatto negli anni passati ed i risultati invece ottenuti grazie alla mia costante presenza e a quella della mia compagna. Tutto ciò in occasione del suo primissimo incontro con mio fratello.
Arriviamo ad ottobre 2019, mese in cui il 1° ADS di dimette volontariamente dal suo incarico in quanto mio fratello, nel corso dei mesi del 2019 in ambito ADS, decide volontariamente di fare questo passo, ovvero di trasferirsi in convivenza con il sottoscritto e la compagna in adeguato immobile da acquistare o in immobile del tipo villetta a schiera. Comunica quindi in totale autonomia al CPS, al SIL e all’ADS, la sua intenzione di trasferirsi vicino a me e alla mia compagna.
Le dimissioni di questo 1° ADS, vengono giustificate dallo stesso “a causa di problemi famigliari e lavorativi” proprio quando avrebbe invece dovuto iniziare ad adempiere al suo lavoro di ADS.
Io e il mio avvocato tuttavia, non sappiamo nulla delle dimissioni dell’ADS ad ottobre 2019 infatti veniamo informati dallo stesso ADS che il giudice tutelare, fisserà un udienza per decidere il da farsi in merito al trasferimento ma ciò non corrisponde al vero. Solo dopo un accesso del mio avvocato al fascicolo cartaceo in cancelleria a dicembre 2019 (nel fascicolo telematico non vengono spesso riportati gli allegati in PDF dei provvedimenti e comunicazioni del GT e ADS), scopriamo che l’ADS si è dimesso, che il giudice non ha mai voluto fissare un’udienza e che soprattutto lo stesso ADS, come da richiesta specifica del giudice, comunica a quest’ultimo di “non essere a conoscenza di alcun eventuale percorso psicoterapeutico post trasferimento” quando invece aveva in mano ben 3 relazioni mediche dei nostri professionisti privati nelle quali si spiegava appunto, la loro futura presa in carico di mio fratello e cosa avrebbero fatto dal punto di vista farmacologico, psico-sociale, lavorativo, famigliare. Inoltre lo stesso ADS, aveva conosciuto di persona lo psichiatra privato su richiesta del sottoscritto in occasione di un meeting richiesto da me, direttamente in CPS. Inoltre, conosceva perfettamente cosa aveva fatto anche lo psicologo privato e cosa avrebbe fatto post trasferimento.
Accedendo a dicembre 2019 al fascicolo cartaceo, scopriamo che il giudice nel frattempo, nomina un nuovo amministratore di sostegno (un avvocato), il tutto a insaputa del sottoscritto, del mio avvocato e di mio fratello. Il nuovo ADS, diviene effettivamente operativo solo dopo i giorni seguenti l’epifania 2020. Nel frattempo, chiede al tribunale un preventivo di rimborso di equo indennizzo di 800€ per l’anno 2019, cifra a parere del sottoscritto spropositata in quanto lo stesso ADS, non aveva nemmeno ancora gli accessi al c/c dell’amministrato, gestito ancora a tutti gli effetti, dal precedente dimissionario ADS, né aveva gestito minimamente alcun aspetto burocratico da adempiere ne confronti di mio fratello tale da giustificare per l’anno 2019, una richiesta di tale portata.
Con il mio avvocato, continuiamo a fare istanze su istanze, sia per chiedere urgentemente udienza sia per mettere in rilievo i fatti trascorsi incongruenti con quanto comunicato dagli ADS ma il tribunale non risponde alle nostre richieste di riceverci a udienza né approfondisce il lavoro svolto dagli ADS offrendoci un contraddittorio, né approfondendo la situazione in ambito sanitario in relazione a CPS, medici privati e famigliari. I rapporti avvengono sostanzialmente fra tribunale, ADS e CPS.
Arriviamo ai primi giorni di febbraio 2020, pochi giorni prima che scoppiasse ufficialmente la pandemia covid-19 il Italia con le prime restrizioni sociali/sanitarie. Da evidenziare che nel corso dell’anno precedente, nel 2019, si erano inoltre verificati dei fatti spiacevoli tra la badante di mio fratello (assunta per cucinare e pulire casa 3 ore al giorno). Fatti riguardanti non solo puramente il modo di gestire la casa da parte della signora ma anche dei rapporti tra la badante e mio fratello, palesemente a parere del sottoscritto, nel condizionarlo psicologicamente per evitare di trasferirsi (salvaguardando così il suo posto di lavoro). Il sottoscritto nel 2019 e 2020, segnala al tribunale e agli ADS, l’urgenza di sostituire quella persona ma anche in questo caso, sia il tribunale sia gli ADS, ritengono le nostre richieste infondate e di poco conto pur avendole dimostrate come reali, nei fatti, con tanto di prove fotografiche. Propongo così a mio fratello i primi giorni di febbraio, di trasferirsi a casa nostra per una prova di convivenza dato che né il tribunale, né gli ADS, né il CPS, né la badante agevolano in alcun modo questo passaggio. Decisione volta a dare un segnale forte al tribunale, per farmi ricevere almeno in udienza dal GT ed anche per salvaguardare mio fratello dalla situazione che si era creata a casa sua con la badante, in evidenti rapporti di fiducia con l’ADS.
Mio fratello il giorno stesso della proposta, si trasferisce da noi. Per questo trasferimento, il GT segnala prontamente alla Procura della Repubblica questo fatto per accertare eventuali provvedimenti di penale rilevanza nei miei confronti. Il motivo di questo provvedimento da parte del giudice risulta agli atti come “un trasferimento coercitivo e illegittimo su iniziativa del fratello in quanto il CPS dichiara nell’ultima relazione clinica che, nel caso mio fratello si trasferisse dal sottoscritto, potrebbe avere potenzialmente rilevanti scompensi psichici per fobie da allontanamento dal suo abituale luogo di residenza” aspetto ampiamente non veritiero in quanto nel corso del 2019, mio fratello ha frequentato e conosciuto spesse volte, la città e la residenza dove vivo, come già descritto addietro in questo documento.
Tale provvedimento del GT ci perviene pochi giorni l’inizio della convivenza provvisoria (bilocale condominiale). A quel punto, capisco che non ci sono più speranze per un futuro definitivo trasferimento di mio fratello né per una possibile futura dismissione graduale delle terapie farmacologiche come era in progetto di fare al trasferimento, a determinate condizioni, con i medici privati. Propongo quindi di sfruttare tale situazione di trasferimento temporanea, per iniziare in autonomia con mio fratello, a ridurre gradualmente le terapie farmacologiche.
Dismissione parziale che avverrà per un totale del 50% circa rispetto le quantità della terapia abituale, nel corso dei 3 mesi di convivenza, durante i quali mio fratello non solo migliora in modo evidente la sua situazione psico-emotiva ma anche fisica (registro a tal proposito, diversi video di vita quotidiana facendoli visionare anche all’ADS). Difatti mio fratello, fino ad una settimana prima del suo rientro a casa dei genitori, dopo 3 mesi di convivenza, diventa anche completamente autonomo in alcuni spostamenti, senza il supporto della mia presenza.
Tuttavia dopo 3 mesi di convivenza, mio fratello mi comunica di voler rientrare a casa sua in quanto preferirebbe come giusto e normale che sia, avere una casa sua e degli spazi tutti suoi in quanto non riesce ad adattarsi ad alcune situazioni di convivenza con la mia compagna, di condivisione degli spazi comuni (non ha una sua camera da letto, dorme sul divano letto in sala), routine e situazione di vita che mai aveva affrontato prima, se non con il sottoscritto.
Anche in questi 3 mesi, il GT richiede all’ADS di relazionare in merito alla situazione di convivenza ma l’ADS non effettua addirittura alcuna telefonata al suo amministrato di sua iniziativa. Anzi… gli unici 3 contatti telefonici tra l’amministrato e l’ADS avvengono su iniziativa di mio fratello, per richiedere la ricarica della tessera ricaricabile.
Una volta che mio fratello torna a casa sua, lo sento telefonicamente nei 3 giorni seguenti e vado a trovarlo anche una volta per sincerarmi che stesse bene, cosa che a tutti gli effetti noto rilevando che non ci sono particolari problemi di ansia.
8 giorni dopo tuttavia, vengo a conoscenza che mio fratello richiede all’ADS che vuole assolutamente trasferirsi in quanto si trova a disagio nell’essere rientrato a casa sua e alla fine, riferisce di trovarsi meglio in compagnia del sottoscritto.
L’ADS ne prende atto, lo comunica al GT. Due giorni dopo, interviene a domicilio la psichiatra del CPS e mi riferisce telefonicamente che mio fratello è in uno stato di forte ansia. Gli viene ripristinata quasi la totalità delle terapie dismesse parzialmente durante la convivenza, tutte in una volta sola.
La badante, continua a recarsi al domicilio di mio fratello ed il suo posto di lavoro, è stato mantenuto nel corso dei 3 mesi di convivenza a casa del sottoscritto.
Da evidenziare quanto segue, in riferimento all’ADS
Se dovessi riassumere le criticità degli ADS con i quali sono venuto a contatto:
– non pagavano le utenze della casa intestata a A. o lo facevano sempre in ritardo rischiando la chiusura di luce/gas dell’appartamento
– non hanno mai rimborsato la zia che abita sotto casa di A. e che anticipava le somme dovute da mio fratello per il giardino, fognatura, luce comune, acqua comune
– al sottoscritto, non hanno mai rimborsato diverse spese, nonostante fossero di totale competenza di A.; mi è stato riconosciuto dopo oltre 1 anno solo un parziale rimborso
– Il tribunale ha imposto la tessera ricaricabile ad Andrea, con ricariche di circa 250/300 euro. Mio fratello ha sempre avuto il suo bancomat personale senza alcuna limitazione, ed è stato sempre autonomo in tal senso, e non ha mai creato problemi dimostrandosi sempre cauto nelle spese. Non capisco perché abbiano applicato questa misura con lui.
– Il secondo ADS, così come il primo, non risponde mai alle mie e-mail su argomenti che mi riguardano direttamente avendo in comunione immobili e adempimenti burocratici, spesso da risolvere urgentemente
– Il tribunale non fa alcun commento né accenno alle relazioni dei medici privati ma fa unicamente e sempre riferimento, alle relazioni cliniche del CPS che mai hanno agevolato il mio interesse fraterno per A.
– Nel fascicolo telematico, risultano approvate dal GT 3 atti di straordinaria amministrazione tra cui il benestare per la vendita della casa sfitta in condizioni vetuste, ma io non ho avuto comunicazione di questo da nessuno, nemmeno da parte dell’ADS
– Tutti gli ADS non si sono mai interessati ai pareri medici dei professionisti privati, privilegiando di fatto le relazioni cliniche del pubblico
– Tutti gli ADS sono risultati palesemente impreparati nel gestire un amministrato con diagnosi psichiatrica, adottando provvedimenti e iniziative non previste nei loro decreti di nomina.
OMBUDSMAN PERSONALE: (espandi per visualizzare)
Una proposta che viene dalla Svezia:
L’Ombudsman Personale (OP)
un ottimo modello da cui prendere esempio
Dal 1995, la PO-Skåne , un’organizzazione non governativa (ONG) con sede nella provincia svedese di Skåne, attua convenzioni con i comuni e nelle aree rurali per fornire un servizio attraverso delle figure professionali denominate Ombudsman Personali, dei supporter, impiegate esclusivamente su richiesta degli utenti psichiatrici, i clienti.
Premesso che in Svezia il sistema giuridico relativo alla Tutela prevede poteri parziali in capo al Tutore il quale decide solo su questioni patrimoniali, l’Ombudsman Personale (OP) identifica le esigenze di assistenza dei clienti e garantisce che ricevano l’aiuto di cui hanno bisogno. Non esiste una legge specifica a riguardo, l’OP rappresenta una valida alternativa alla figura del Tutore (chi ha un OP non necessita di un Tutore e la gestione del danaro avviene in autonomia), infatti attualmente in Svezia questo servizio è stato adottato in tantissimi Comuni. La maggior parte degli utenti/clienti che negli anni hanno usufruito di questo servizio (gratuito per gli utenti) hanno ridotto, se non azzerato, i ricoveri, le istituzionalizzazioni, il ricorso alla psichiatria in generale.
Skåne è la provincia più a sud della Svezia, ha circa un milione e centomila abitanti. PO-Skåne è una ONG gestita da utenti, ex utenti, sopravvissuti alla psichiatria e da un’associazione di familiari.
Il sistema con Ombudsman Personale (OP) in favore di utenti psichiatrici è un’innovazione svedese sviluppatasi in seguito alla riforma psichiatrica del 1995.
Uno dei compiti più importanti di un OP è quello di aiutare i suoi clienti ad assumere il controllo della propria vita .
Un altro è quello di richiedere alle autorità pubbliche , l’aiuto e il servizio a cui hanno diritto i clienti.
Gli OP non hanno alcuna responsabilità sanitaria nè prendono decisioni come farebbe un’ autorità, essi lavorano per rappresentare il cliente.
Sebbene gli OP siano di solito impiegati formalmente dal Comune, l’attività è distinta da quella dei servizi sociali .
I contratti con i Comuni durano generalmente due anni. Alcuni vengono rinnovati automaticamente, altri devono essere negoziati per un nuovo periodo. Gli OP lavorano a tempo pieno e sono pagati dalla PO-Skåne; a sua volta, il Comune paga PO-Skåne, in base alla convenzione, una somma che copre gli stipendi degli OP, le spese, la formazione e le spese generali.
Chi è l’OP ?
Un OP è un professionista altamente qualificato che lavora al 100% ed esclusivamente su commissione dell’utente/cliente. L’OP non ha alcun legame né con la psichiatria, né con i servizi sociali o altre autorità, né tantomeno con i familiari del paziente stesso o il suo entourage (a meno che non sia il cliente a volerlo).
L’OP fa soltanto ciò che il cliente vuole che lui faccia.
Poiché può occorrere molto tempo, a volte anche molti mesi, prima che il cliente sappia o voglia esprimere quale tipo di aiuto desideri, l’OP deve saper aspettare, anche se molte questioni possono apparire caotiche e disastrate.
Ciò significa che un OP deve impegnarsi per lungo tempo per i suoi clienti, di solito per molti anni. Questa è una condizione necessaria per sviluppare una relazione di fiducia e per poter entrare nell’ambito di questioni più essenziali.
E’ l’esatto opposto di quanto solitamente avviene nei servizi tradizionali dove il paziente psichiatrico viene inviato da una persona all’altra per tutto il tempo e, a volte, non ottiene assolutamente alcun aiuto.
In alcune zone della Svezia gli OP sono assunti direttamente dal Comune, ma ciò causa molti problemi e conflitti d’interesse e rende impossibile all’OP il contatto con gli utenti psichiatrici che sono sospettosi e ostili verso i rappresentanti delle autorità.
L’organizzazione del servizio è totalmente controllata dagli utenti membri della PO-Skane e gli OP lavorano seguendo le linee guida degli utenti.
Alcune di queste linee guida sono:
- L’OP lavora per quaranta ore settimanali secondo uno schema flessibile che adegua in relazione ai desideri dei suoi clienti, l’OP non lavora soltanto in orario d’ufficio come avviene nella maggior parte degli altri servizi. La settimana dell’OP ha sette giorni e ogni giorno ha 24 ore. L’OP deve essere preparato a lavorare anche in queste fasce orarie perché i problemi dei clienti possono presentarsi a qualsiasi ora.
- L’OP non ha alcun ufficio, perchè “ufficio è potere”. Egli lavora da casa propria con l’aiuto del telefono e di internet incontrando i suoi clienti nel loro domicilio o fuori.
- L’OP lavora fondamentalmente secondo un modello relazionale.
Dal momento che molti clienti per diversi motivi sono molto sospettosi, ostili, o difficili da raggiungere, l’OP deve uscire e incontrarli nei luoghi che sono soliti frequentare e deve cercare di raggiungerli gradualmente attraverso vari passi:
- Realizzazione del contatto 2. Sviluppo della comunicazione, 3. Costruzione di una relazione 4. Inizio del dialogo 5. Programmazione di alcuni impegni.
La realizzazione di ognuno di questi passi può richiedere molto tempo. Entrare in contatto a volte può richiedere alcuni mesi.
- Per ottenere un OP attraverso la PO-Skåne non occorre alcuna procedura formale. Dopo che si è stabilita una relazione l’OP chiede semplicemente “Mi vuoi come tuo OP ?”, se la risposta è affermativa il tutto viene sistemato.
- L’OP dovrebbe essere capace di supportare il cliente in ogni tipo di situazione. Le priorità del cliente spesso non sono le stesse che possono avere le autorità o i familiari. Le priorità dei clienti di solito non sono una casa o un’occupazione, ma questioni esistenziali (perché dovrei vivere? Perché la mia vita è diventata la vita di un paziente psichiatrico? Ho qualche speranza che le cose cambino?), la propria sessualità e i problemi con i familiari. Un OP deve essere capace di concedere molto tempo al dialogo con il cliente anche su questo tipo di questioni e non solo su quelle “pratiche”.
- Un OP deve essere ben preparato per tutelare in concreto i diritti dei clienti di fronte alle autorità o di fronte al tribunale. Tutti gli OP della PO-Skåne hanno qualche titolo accademico universitario o qualche altro tipo di formazione similare. La maggior parte di loro ha il diploma di assistente sociale, altri hanno studiato legge o hanno alle spalle altre specializzazioni nel campo dei diritti umani.
- Il cliente ha il diritto all’anonimato. La PO-Skåne riceve fondi dai Comuni per il servizio offerto, ma nel contratto c’è scritto chiaramente che l’OP può rifiutarsi di dire il nome dei suoi clienti al Comune.
Il servizio è finanziato per 2/3 dallo Stato e per 1/3 dai Comuni.
È stata condotta una ricerca per valutare i risultati del sistema degli OP. Sono emersi aspetti estremamente positivi, sia sotto il profilo del recupero personale, sia sotto il profilo economico. In certi casi la situazione è talmente migliorata dal punto di vista individuale che, non solo sono diminuite le spese assistenziali, ma si è passati dal ciclo assistenziale a quello produttivo. Il parlamento svedese ha deciso quindi di estendere a tutta la Svezia il nuovo sistema.
Maths Jesperson è stato il promotore della PO-Skane , qui di seguito ce ne parla nel dettaglio :
“Il servizio dell’Ombudsman Personale è diventato famoso in tutto il mondo, specialmente in relazione alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (CRPD). Esso è iniziato 10 anni prima dell’entrata in vigore della Convenzione ONU, in un altro contesto, cioè quello dell’esperienza di noi utenti e sopravvissuti alla psichiatria, e dalle nostre idee relative al sostegno di cui sappiamo di aver bisogno in determinate situazioni .
Nel gennaio 2006 ho presentato PO-Skåne nel Quartier Generale delle Nazioni Unite a New York.
Dato che l’ombudsman personale è un esempio concreto di “supporto al processo decisionale“, attualmente c’è un grande interesse per questo modello e molti paesi stanno considerando la possibilità di abolire i loro vecchi sistemi di Tutela.
Quando abbiamo iniziato il nostro servizio nel 1995, avevamo solo due OP, io ero direttore del progetto che è stato l’unico, nell’ambito della riforma psichiatrica del 1995, che ha avuto successo. Ciò ha portato nel 2000 alla decisione del Parlamento svedese di sostenere l’inserimento del servizio con gli OP in tutto il paese ” .
Attualmente il servizio con OP è stato introdotto anche in Norvegia (Oslo), in Perù e con grande successo anche in Israele, dove da anni si è addirittura modificata la normativa nazionale : per tutte le disabilità, prima si prova il sostegno con l’OP e solo nel caso non funzioni, si sostituisce con il Tutore.
PROPOSTE: (espandi per visualizzare)
Nel 2016 il Comitato ONU per i diritti delle persone con disabilità ha pubblicato le “Osservazioni Conclusive al primo rapporto dell’Italia” 1.
Nella sua relazione il Comitato raccomanda di abrogare tutte le leggi che permettono sia ai tutori che agli amministratori di sostegno di sostituirsi ai soggetti interessati nel prendere le decisioni, e di emanare e attuare provvedimenti per il sostegno al processo decisionale, compresa la formazione dei professionisti che operano nel sistema giudiziario, sanitario e sociale. Consci del fatto che ci vorrà del tempo per poter realizzare tutto questo, è su questa linea che intendiamo procedere. Tra le righe delle norme già esistenti in Italia e in quelle internazionali, stiamo delineando un modello di sostegno rispettoso della persona. Come primo passo abbiamo elaborato una serie di proposte concrete volte ad una riflessione critica ed a un confronto sull’attuale normativa relativa all’istituto dell’amministrazione di sostegno. Abbiamo inoltre individuato nell’Ombudsman Personale (OP) svedese una figura perfettamente in linea con la CRPD (Convention for the rights of people with disabilities) ed è su questo modello che intendiamo focalizzare i nostri approfondimenti e proposte (la descrizione dettagliata la trovate nel documento dedicato).
http://www.anffas.net/dld/files/comitato-onu-osservazioni-conclusive-settembre-2016.pdf
Suggerimenti & Proposte
- Eliminazione di ogni riferimento legislativo all’interdizione e all’inabilitazione dalla normativa relativa all’amministrazione di sostegno ;
- Sostituzione del termine “amministratore di sostegno” con “supporter personale”(sul modello svedese dell’ Ombudsman Personale OP) ;
- Sostituzione della dicitura “menomazione psichica”, con altro concetto che implichi necessariamente una valutazione certificabile oggettivamente;
- Sostituzione del concetto di “miglior interesse” con quello di “miglior interpretazione della volontà dell’amministrato”;
- Attivare il procedimento innanzitutto dietro richiesta diretta del soggetto interessato tenendo conto della sua volontà : uno dei presupposti per l’applicazione dell’amministrazione personale dovrebbe essere l’assenza di una manifesta opposizione dell’amministrando;
- Limitazione delle procedure per la nomina dell’amministratore “provvisorio” ai veri e propri casi “urgenti” documentati, previa informazione chiara e dettagliata al futuro amministrato e familiari sul provvedimento che si andrà ad attivare;
- Tenere conto delle salvaguardie previste dall’12 della “Convenzione per i diritti delle Persone con Disabilità” (CRPD) sulla capacità giuridica delle persone con disabilità, sulle quali proporzionare il livello di sostegno da parte dell’amministratore;
- Il decreto di nomina dell’amministratore contenga in modo chiaro tutte le informazioni elencate all’art. 405 della Legge 6/ 2004. Di questo decreto si producano copie in numero sufficiente, nelle mani dell’amministrato e di un congruo numero di familiari da lui autorizzati, con conferma di avvenuta presa d’atto all’ufficio dello stato civile e successiva annotazione, accanto al nome dell’amministrato, di chi è in possesso delle copie del decreto. Lo stesso avvenga ogni volta che ci siano modifiche al decreto.
- Durante tutte le fasi del procedimento, l’interessato sia assistito da un difensore di fiducia o d’ufficio. Conseguentemente, che non si possa pronunziare la nomina dell’amministratore senza che si sia proceduto (da parte del Giudice ) all’esame dell’amministrando in presenza dell’avvocato difensore (anche recandosi, ove occorra, nel luogo ove l’amministrando si trova);
- Il Giudice può in questo esame farsi assistere da consulenti tecnici ai quali il difensore può contrapporre consulenti di parte. Può anche d’ufficio disporre i mezzi istruttori utili ai fini del giudizio, interrogare i parenti prossimi dell’amministrando e assumere le necessarie informazioni;
- Il Giudice può, quando ricorrano gravi motivi, in ogni tempo, modificare o integrare le decisioni assunte con la sentenza di nomina dell’amministratore, ma si dovrà prevedere che l’amministrato venga informato e coinvolto personalmente in tutte le fasi successive all’attivazione dell’amministrazione (per es. in caso di istanza di sostituzione, revoca o altro);
- Formazione dei familiari di persone con limitazioni dell’autonomia decisionale sugli strumenti atti a sostenere il loro impegno a favore dell’amministrato ;
- Informare gli amministrati e familiari sulle modalità e procedure di presentazione di istanza di sostituzione o revoca dell’amministratore e di reclamo alla corte d’appello contro il decreto del Giudice
- L’amministratore, anche quando trattasi di un familiare, deve tempestivamente informare l’amministrato, in maniera documentabile, circa gli atti ordinari e non ordinari da compiere, nonchè il Giudice in caso di dissenso con l’amministrato stesso;
- Nel caso in cui l’amministrato abbia redatto e depositato le proprie “Disposizioni anticipate di trattamento” (D.A.T.) se ne dovrà chiaramente tener conto.
In via generale, la decisione sul “se” e “come” curarsi spetta all’amministrato. Accade spesso che nel decreto di nomina siano stati conferiti all’amministratore compiti e prerogative inerenti alle decisioni in materia sanitaria, che spaziano dall’assistenza necessaria sino alla rappresentanza esclusiva, a seconda dell’ estensione dei suoi poteri. In questi casi, secondo la Legge n.219 del 2017, art.3 comma 4 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) «il consenso informato è espresso o rifiutato anche dall’amministratore di sostegno o solo da quest’ultimo, tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere» .
Si raccomanda quindi che, nei decreti in cui si conferiscono così “ampi poteri” all’amministratore, vi sia l’indicazione esplicita che il suo compito sia quello di sostenere le decisioni e le scelte dell’amministrato e non di sostituirsi a lui/lei. In via generale, costituiranno eccezione solo ed esclusivamente le situazioni in cui sia del tutto impossibile, da parte dell’amministrato, poter manifestare ed esprimere la propria volontà. Tale impossibilità dovrà obbligatoriamente essere dimostrata attraverso esami clinici e/o diagnostici oggettivi ( per es. in soggetti affetti da morbo di Alzheimer , demenza senile in stadio avanzato, ictus, coma, ecc.), allorchè si sia invano effettuato ogni tentativo di comunicazione, anche in ambito di comunicazione aumentativa-alternativa.
- In ipotesi di trattamento sanitario obbligatorio (T.S.O.), l’amministratore non può in nessun caso richiedere, in nome e per conto dell’amministrato, il ricovero in regime volontario, né la protrazione dello stesso presso la stessa struttura ovvero altra extra-ospedaliera, prestando all’uopo il proprio consenso.
- I responsabili a livello dirigenziale dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza a della persona, hanno la facoltà di proporre l’attivazione dell’amministrazione di sostegno ma non l’obbligo o dovere;
- Gli operatori dei servizi pubblici o privati che hanno in cura o in carico l’amministrato, non possono ricoprire le funzioni di amministratore e neppure persone a loro collegate da interessi comuni, o da loro indicate ;
- Limitazione ad un massimo di due del numero degli amministrati per un singolo amministratore;
- Il Tribunale si doti di strutture, procedimenti agili e personale sufficienti al controllo e verifica effettiva di tutti gli atti di protezione emanati ;
- Monitoraggio dell’operato dell’amministratore in merito all’esecuzione della miglior interpretazione della volontà dell’assistito da parte del Giudice in collaborazione con le organizzazioni del 3° settore impegnate nella difesa dei diritti degli amministrati;
- Pubblicazione da parte di tutti i tribunali di dati analitici sulle amministrazioni (numero degli amministratori, suddividendoli tra familiari e professionisti, tipologia dei professionisti), in modo da permettere un monitoraggio da parte di Uffici già esistenti, coinvolgendo le varie associazioni impegnate nel campo della tutela dei diritti e tenendo sotto osservazione il fenomeno che riguarda migliaia di persone;
- Formazione degli amministratori sugli strumenti atti a sostenere il loro impegno a svolgere tale funzione con la minore limitazione possibile della capacità di agire dell’amministrato e nel rispetto della sua facoltà di compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana, bisogni, richieste e aspirazioni, anche per gli assistiti con capacità di comunicazione ridotte o assenti (comunicazione aumentativa-alternativa);
- Percorso formativo per i soggetti del 3° settore impegnati nella difesa e nella rappresentanza di persone prive in tutto o in parte di autonomia;
- Istituzione di elenchi (anche in raccordo con gli uffici dei Giudici Tutelari) ai quali possano iscriversi le persone disponibili ad assumere l’incarico di amministratore, da cui selezionarli esclusivamente in mancanza dei soggetti previsti dalla legge (art. 408, Legge 6/ 2004);
- Presentazione di più rendiconti al Giudice durante l’anno (ogni tre mesi) e dotazione ad ogni tribunale di personale che sia di supporto ai giudici stessi (la mole di lavoro è enorme);
- Formulazione di un tabellario/tariffario nazionale indicante le commissioni, di routine e straordinarie, proprie all’ufficio di amministratore, tariffario grazie al quale l’amministratore rendiconterà ogni trimestre, insieme al suo operato e all’andamento del rapporto con l’amministrato, l’ammontare del rimborso spese. Il rimborso non derivi dal patrimonio dell’amministrato e/o dei suoi familiari ma dalle Casse Pubbliche.
Destinatari delle proposte:
- Membri della Commissione Giustizia di Camera e Senato
- Ministero della Giustizia
- Ministero per le Disabilità
- Ministero del Lavorio e Politiche Sociali
- Presidente della Repubblica
- Gruppi parlamentari
- Gruppi dei Consigli Regionali
- Collegio del Garante Nazionale per i diritti delle persone private della libertà personale
La presente Campagna è aperta alla sottoscrizione di quanti ne condividono il contenuto: privati cittadini, associazioni, comitati, collettivi, gruppi spontanei, etc. Per aderire alla campagna invia un’email ad dirittiallafollia@gmail.com o utilizza direttamente la pagina contatti del nostro sito. Nell’oggetto indica:
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“Diritti alla Follia” “Amministrazione di sostegno : Se la tutela diventa ragnatela”
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RACCOMANDAZIONI: (espandi per visualizzare)
- Tutte le forme imposte di sostituzione nei processi decisionali andrebbero eliminate e di conseguenza ciò comporterebbe l’abolizione degli istituti dell’interdizione, dell’inabilitazione e dell’amministrazione di sostegno “sostitutiva”.
- Si raccomandano figure di riferimento sul modello svedese dell’Ombudsman Personale, che non si sostituiscano alla persona nell’espressione della sua volontà, scelte e decisioni, ma che, in conformità alle raccomandazioni rivolte all’Italia nella Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità (CRPD), pongano al centro la persona umana, la sua volontà e le sue preferenze. In tale ottica, si raccomanda la revisione dell’amministrazione di sostegno nelle residuali ipotesi di effetti incapacitanti collegati alla massima estensione dell’istituto e di superamento della volontà dell’amministrato (v. designazione coatta dell’amministratore).
- Si raccomanda vivamente di affrontare le problematiche legate all’emanazione di decreti in cui siano stati conferiti all’amministratore compiti e prerogative inerenti alle decisioni in materia sanitaria, concetti sanciti nella Legge n.219 del 2017, art.3 comma 4 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento).
- Occorre definire una normativa che assicuri e disciplini l’accesso alle misure di supporto per il processo decisionale autonomo nell’esercizio della capacità giuridica.
- Tali misure devono garantire alle persone con disabilità più opzioni di assistenza nei processi decisionali e devono essere dirette a promuovere l’autonomia e a favorire la determinazione di decisioni che rispondano alle preferenze della persona. Come raccomandato nella CRPD, occorre assicurare e promuovere la formazione di professionisti in materia di giustizia, salute e settore sociale per quanto concerne la fornitura dei supporti.
Si dovrebbe dunque intervenire in tale settore rafforzando la rete di supporto nei processi decisionali attraverso figure professionali e familiari che abbiano un’adeguata preparazione per svolgere un ruolo che non si limita alla mera amministrazione del patrimonio della persona assistita, ma metta al centro la volontà e le preferenze dell’individuo in conformità a quanto indicato nella CRPD. - A tal fine potrebbe essere utile elaborare delle linee guida idonee a facilitare la comprensione della varietà dei supporti e a promuovere il loro utilizzo .
- Il Comitato della CRPD ha sottolineato l’obbligo degli Stati di consultare e coinvolgere attivamente le persone con disabilità attraverso le loro organizzazioni rappresentative, nella definizione e nell’esecuzione della normativa e delle politiche relativi all’attuazione dell’art. 12 della Convezione.
APPROFONDIMENTI: (espandi per visualizzare)
La nostra associazione offre colloqui gratuiti per chi necessita di un approfondimento riguardo gli argomenti che trattiamo. Se hai necessità di parlare con un collaboratore dell’associazione, prenota un colloquio.
oppure
Vittoria scopelliti dice
Salve, ma fatemi capire. Cosa deve succedere per far abolire questa legge??????? Servono firme?grazie
Diritti alla Follia dice
Salve Vittoria abbiamo una Campagna in corso, visita la sezione dedicata e troverai tutte le indicazioni per sostenerla. Grazie!
Katia dice
Condivido perché al papà di mio figlio gli e’ morta la mamma a gennaio di questo anno e lui essendo foglio unico e in cura al cim di Ariccia per una patologia di schizzofrenia paranoidea che gli e’ stata diagnosticata all’ età di 20 anni ma tenuto sempre sotto cura oggi il papà di mio figlio ha 41 anni…da quando e’ morta la madre che si occupava della parte economica e della quotidianità…lui ha deciso di fare domanda per un amministratore di sostegno non essendoci nessun parente che si e’ offerto per fare da amministratore il giudice del tribunale di Velletri ha nominato un amministratore di sostegno a marzo di questo anno..parlando con il papà di mio figlio mi ha detto che il giudice gli lo ha nominato per 5 anni dopo di che il papà di mio figlio può decidere che il sostegno nell’ amministrare gli immobili e la vita quotidiana non gli occorre più in quanto se ne occuperebbe lui stesso. Perché lui e’ sostanzialmente autosufficiente perché guida la macchina e le cose quotidiane le svolge da solo come farsi da mangiare lavarsi i panni e pulire un po’ la casa…perciò diciamo che l’ amministratore di sostegno gli cura più il discorso economico. io però siccome non mi fido molto avendo mio figlio da tutelare in quanto unico erede vorrei sapere a chi mi devo rivolgere legalmente per far controllare che l’operato di questo amministratore di sostegno sia veramente fatto con scrupolo e onesta…sempre nel salvaguardare l’ eredità di mio figlio unico erede che oggi ha 6 anni e riconosciuto legalmente dal papà…mentre noi abbiamo solo convissuto ma non ci siamo mai sposati…a chi mi posso rivolgere a tutela di mio figlio?
Diritti alla Follia dice
Salve, e ci scusi per il ritardo.
Gireremo il suo quesito ad un membro della nostra associazione
Laura dice
Sono d accordissimo. Mio padre è ora gestito da un ads extra moenia e i giudici di appello hanno respinto mia richiesta senza neanche sapere che faccia ho o ascoltare i testimoni o leggere la documentazione allegata. E tutto perché mio fratello, personaggio orribile che nn si occupa né lo ha mai fatto, di NS padre, ha chiesto questo maledetto istituto per vendetta. Una legge che si presta ad aiutare i vili a distruggere le vite dei loro cari per rancori pregressi
Gigi Monello dice
ciao, sono un membro dell’Associazione e ti mando notizie sul mio caso (a proposito di orribili congiunti); ti invito anche ad iscriverti (la quota annuale è una sciocchezza). Più siamo, più aumentano le speranze di vincere questa battaglia civile. http://picciokkumalu.blogspot.com/2021/06/per-dirlo-la-parola-piu-giusta-direi.html
Gigi Monello
Chantal dice
Questa è una legge di VIOLENZA E NON TUTELA!!! violano la vita delle persone e delle loro famiglie in base alla richiesta di parenti o persone che non si occupano affatto dei “beneficiari” . La maggior parte delle volte è chi chiede l’ADS che ha interessi da tutelare e non la persona assistita! Questa legge è una farsa! Pensa solo a mettere le mani nelle tasche della gente e non è stato minimamente pensato di istituire una commissione di verifica di queste situazioni!!
20 minuti per decide della vita della gente In base a quattro fogli e le bugie di chi vuole controllare la vita di queste persone!! ABOLITE QUESTO SCEMPIO IMMANE
saltarelli sabrina dice
Buongiorno sono figlia di un’amministrata e vi assicuro che l’unica tutela c’è l’ha l’a.d.s. perchè è l’unico che ha rapporti con il G.T.e tutte le istanze le legge prima lui e mai il G.T.,quindi é una vera e propria cupola e mentre un perfetto sconosciuto distrugge il lavoro di una vita ,mia madre è praticamente abbandonata a se stessa perchè l’a.d.s.la vista solo 1 volta nel 2019. Fate in fretta ,raccogliete firme e usate tutti i mezzi di comunicazione possibili ,perchè oggi l’unico mezzo per avere Giustizia è rendere pubblica l’ingiustizia
giovanni rizzoli dice
Complicare la vita ai cittadini è il primo obiettivo dello Stato, non credo che si arriverà a modificare una trappola ben congegnata, se davvero ci fossero giudici e non impiegati statali, questa norma non sarebbe mai stata attuata. Nel caso si arrivasse a qualche modifica sarebbe ancora più vessatoria. Mia moglie è stata sfortunata e di conseguenza pure io. Non sarò mai amministratore di sostegno di mia moglie, lascerò andare a male le cose che abbiamo, faremo con quello che possiamo fin che potremo. Meglio vivere pochi anni in pace che molti in contese e problemi, dei quali siamo già abbastanza forniti.
Rosellini dice
Purtroppo quEsta legge non verra’ mai abolita, perché da’ lavoro agli avvocati i quali si compensano generosamente e come vogliono in quanto la legge glielo permette cosi come permette di ridurre in poverta’ i loro assistiti, non ti comprano piu’ niente dicono sempre: non ci sono soldi e tu continui a soffrire ti riducono in martire e poi quando muori non ti pagano neppure i funerali e si e’ questa la triste realta’ che ancora tutti non sanno: non pagano i funerali e se anche ci sono i soldi per farlo viene automaticamente tutto BLOCCATO
Ileana dice
Per favore qualcuno mi dica se questa cosa è obbligatoria!! ho letto mille cose contrastanti, io non voglio assolutamente fare questo, mia figlia e ben protetta e assistita da noi e da quanto apprendo questo basterebbe per non dover farla.
Ma in caso di un intervento si può chiedere l’autorizzazione diretta al giudice solo per quanto riguarda l’intervento senza dover fare questa maledetta amministrazione di sostegno???
Diritti alla Follia dice
Signora ci scriva a dirittiallafollia@gmail.com e le forniremo tutte le informazioni di cui necessita
Andrea Tescari dice
Buongiorno, avrei una domanda da porre: il beneficiario di amministrazione di sostegno può conseguire (o mantenere, nel caso ne sia già in possesso) la patente di guida? Dipende dal grado di infermità che ha comportato la nomina dell’AdS o questa limitazione della capacità di agire (che credo influisca anche sulla copertura assicurativa in caso di incidente, scaturendo comunque da un riconosciuto problema di natura psicofisica) lo esclude a prescindere? Grazie per l’eventuale risposta.
Diritti alla Follia dice
Non lo esclude a prescindere
Daniela dice
Buonasera, racconto in breve la mia storia.Mia madre affetta da lieve demenza vascolare da anni,con dipendenza alla nicotina l’ha portata ad avere dei disturbi comportamentali delle volte aggressivi verso di me causa astinenza con forma di vagabondaggio in cerca di sigarette fuori casa, superata a gennaio dopo la paura presa per una caduta.È stata convocata per ADS urgente in tribunale tramite PM e il giudice tutelare è stato molto freddo e scortese nei miei confronti dicendomi che se dovessi perdere il lavoro causa contratto determinato al tribunale non gli frega nulla in quanto mi devo arrangiare e che a detta loro tutelano mia madre.Io vivo con lei e sono a carico in quanto sono assunta part time con contratto determinato, lavoro di notte come operatore fiduciario e in più devo compartecipare alle spese di casa tutto diviso a metà detto dal giudice.Ho cercato di oppormi parlando di voi,ma il giudice ha risposto che è obbligatorio per legge.È da 10 anni che mi occupo di lei nonostante i miei acciacchi insieme a mia sorella,da quando mio padre venne a mancare.Mia madre vive di pensione la minima più la reversibilità,non abbiamo gruzzoli messi via in quanto spesi in una causa civile che in 5 anni ci ha prosciugati, nonostante le vittorie dei due gradi di giudizio.La casa è di proprietà di mia madre,una casa degli anni 70 che ogni tanto necessita di manutenzione.La mia paura è che la finta tutela usata a mia madre da parte loro,distruggono anche me di riflesso,temo che trovino un escamotage per sbattermi fuori casa, vendendo casa e usando i soldi per una RSA.Mi ritroverei senza un tetto con un lavoro precario se non mi rinnovano il contratto e al Tribunale non gliene frega nulla.Sono avvilita di questo sistema che credono solo nel Dio denaro,approfittandone della povera gente, così che loro si riempiono le tasche.
luciano dice
Buongiorno, siamo Papà e Mamma di un bel ragazzone di 28 anni che assistiamo con Amore e Dedizione fin dalla nascita. Ah! dimenticavamo….é autistico.
Il dramma più dvastante però non è questo, ma il fatto che al compimento del 18esimo compleanno siamo stati COSTRETTI dallo stato (minuscolo) a diventare ads di nostro figlio. Cosa c’è di strano direte Voi? C’è che da quel giorno Noi siamo RETROCESSI a genitori di serie B. Abbiamo PERSO il titolo di MAMMA e PAPA’! Per fare qualsiasi cosa che non rientri (come dicono loro)nell’ordinario dobbiamo chiedere col cappello in mano al giudice tutelare il permesso, Siamo STANCHI!!! SE PAPA’ e MAMMA sono ancora in grado di accudire il proprio FIGLIO perche’ lo stato fa di tutto per ostacolarli???
Questa legge va abolita ed eventualmente riscritta.