Lettera aperta dell’associazione ‘Diritti alla Follia’ alle istituzioni competenti
al Collegio del Garante nazionale delle persone
private della libertà personale e ristrette
al portavoce della Conferenza dei Garanti territoriali
dott. Samuele Ciambriello
al Collegio dei Dipartimenti salute mentale
al Ministero della Giustizia
p.c. al Comitato per la Prevenzione della Tortura (CPT)
Dott. Christian Loda
p.c. al Comitato delle Nazioni Unite sui diritti
delle persone con disabilità (CRPD)
Oggetto: Manifesta condizione di tipo detentivo e incompatibilità della stessa con la misura di sicurezza della ‘libertà vigilata’
Egregi destinatari,
la scrivente associazione radicale ‘Diritti alla Follia’ è nata nel 2018 dandosi statutariamente l’obiettivo di impegnarsi sul fronte della tutela e della promozione dei diritti fondamentali delle persone sottoposte:
1) a varie forme di coercizione in ambito psichiatrico;
2) ai cosiddetti istituti di protezione dell’individuo (tutela, curatela, amministrazione di sostegno);
3) alle misure di sicurezza per i soggetti non imputabili.
Tali obiettivi vengono perseguiti attraverso:
1) l’elaborazione di disegni di riforma finalizzati ad introdurre elementi di maggiore tutela e garanzia della persona nell’ambito delle procedure coercitive in ambito psichiatrico;
2) esposti, su casi individuali come su problematiche di sistema, ad Istituzioni di vigilanza e monitoraggio sul piano nazionale ed internazionale;
3) campagne di informazione e sensibilizzazione su tali temi
Gli istituti civilistici dell’interdizione e dell’amministrazione di sostegno – che riguardano la quasi totalità delle persone dichiarate socialmente pericolose e perciò destinatarie di una misura di sicurezza – non consentono alla persona di agire in giudizio autonomamente sia nell’ambito dei procedimenti civili che nell’ambito dei procedimenti penali, ivi compresa la nomina del difensore di fiducia che è fatta dal tutore/AdS.
La legge 2014/81, che ha riformato da ultimo le misure di sicurezza per i non imputabili, prevede una misura di sicurezza detentiva: la REMS (residenza esecuzione misura sicurezza) ed una misura di sicurezza non detentiva: la libertà vigilata. A riguardo:
1) la libertà vigilata è prevista per un tempo indefinito, potendo essere rinnovata senza alcun limite in rapporto alla valutazione della perdurante pericolosità sociale di un individuo;
2) la libertà vigilata è nella realtà essa stessa una misura di sicurezza detentiva, giacché da un lato la Corte di Cassazione italiana ritiene compatibile con la libertà vigilata la prescrizione dell’obbligo di risiedere di notte in una struttura sanitaria, e dall’altro lato le strutture sanitarie sono governate da “Regolamenti interni” che vietano (oltre all’uso cellulari etc…) le uscite anche diurne (se non previa specifica autorizzazione ed essendo accompagnati da operatori).
Dunque in Italia è possibile, in ragione della propria disabilità e presunta pericolosità, essere totalmente privati della propria libertà per un tempo indefinito.
La libertà vigilata è statisticamente importante, poiché il suo ambito applicativo è generalizzato, essendo essa applicabile a soggetti imputabili, non imputabili e semi-imputabili e spesso anche in alternativa con le altre misure detentive, in una vasta gamma di casi.
Alla persona in stato di libertà vigilata il giudice impone, ed eventualmente modifica, obblighi di condotta idonei ad evitare o limitare le occasioni di commissione di nuovi reati. La libertà vigilata si traduce sistematicamente in una indebita condizione di detenzione per le migliaia di persone che vi sono coinvolte.
Il dibattito pubblico è concentrato sugli ‘ospiti’ delle REMS, e sul funzionamento delle stesse, a fronte di un’assoluta indifferenza – nonostante i numeri ben più alti – verso le condizioni vissute dai ‘liberi vigilati’ (vedi doc. allegato).
La disciplina e la pratica esecuzione delle misure di sicurezza per i non imputabili presenta delle lacune e dei vuoti di tutela. Essa è indefinita nei contorni ed è potenzialmente perpetua nei rinnovi: ciò di fatto consente il perpetuarsi di forme di “ergastolo bianco” a carico degli incapaci di intendere e di volere.
La previsione di determinati precetti deve necessariamente tenere in considerazione la natura non detentiva della misura di sicurezza della libertà vigilata, in caso contrario saremmo dinanzi ad una vera e propria “truffa delle etichette”. Applicare una determinata misura colorandola con i tratti tipi di un’altra costituirebbe, infatti, una grave violazione di legge ancorché una restrizione non giustificata alla libertà di movimento, costituzionalmente garantita. Nel 2013, la Suprema Corte scriveva che “l’imposizione di prescrizioni non può giungere a modificare la natura della misura di sicurezza (della libertà vigilata) che si contraddistingue -come indica la sua stessa denominazione- per una condizione di libertà del soggetto, cioè di non detenzione e non ricovero obbligatorio presso determinate strutture” (I sez., 11.06.2013, n. 26702).
E’ necessario, pertanto, verificare, di volta in volta, se le prescrizioni, in concreto applicate, in ragione della pericolosità sociale del prevenuto, possano mascherare una misura detentiva in luogo di una non detentiva formalmente irrogata.
Siamo di fronte, all’evidenza, della privazione, a carico del soggetto interessato, di ogni possibilità di godere di momenti di libertà, autenticamente definibile come tale: cioè di muoversi ed uscire senza accompagnamento e senza autorizzazione, sia pure in orari definiti e restando reperibile.
La Corte di Cassazione, attraverso varie pronunce ha tracciato il discrimen fra libertà vigilata legittima e illegittima. Per valutare la legittimità o meno della misura, è necessario andare oltre l’etichetta che gli è stata attribuita dal giudice che l’ha applicata, andando ad indagare sulle prescrizioni e valutandone la portata afflittiva.
Associazione ‘Diritti alla Follia’
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