*Di Federico Valenti
Il sistema carcerario italiano è da tempo al centro di forti critiche per il sovraffollamento, l’alto tasso di suicidi, l’uso smodato di psicofarmaci e le condizioni degradanti in cui i detenuti sono costretti a vivere. Queste problematiche suscitano forti polemiche da parte di associazioni come la nostra, Diritti alla Follia, Antigone (che si occupa di monitorare la situazione carceraria con rapporti mensili e annuali) e diverse sigle parlamentari.
Il sovraffollamento
I dati del Ministero della Giustizia evidenziano un problema serio e di difficile risoluzione. Le carceri in Italia sono spesso sovraffollate, con un numero di detenuti che supera di gran lunga la capienza prevista dalle strutture. Al 25 novembre 2024, il numero di detenuti era pari a 62.410, a fronte di una capienza di 51.165, ma con 46.771 posti effettivi. Queste cifre indicano un tasso di sovraffollamento del 133,44%.
Questi numeri si traducono in condizioni di vita insostenibili: celle anguste e poco aerate, condizioni igieniche precarie e un ambiente che genera disagi psicologici, spesso causa di suicidi o tentativi di suicidio, fenomeno che ora andremo ad analizzare.
I suicidi in carcere
Il tasso di suicidi in carcere in Italia è tra i più alti in Europa. Ogni anno, specialmente nel periodo estivo, l’estremo caldo, la solitudine e la mancanza di attività spingono molti detenuti a tentare il gesto estremo. L’associazione Antigone riporta 88 casi di suicidio nel 2024, superando il primato del 2022 (84 casi).
Al 16 gennaio 2025, si registrano già 8 casi di suicidio, ovvero uno ogni due giorni. Questo fenomeno è fortemente collegato al sovraffollamento, a sua volta aggravato dal decreto Caivano della Premier Meloni, che prevede la detenzione in attesa di giudizio anche per chi viene trovato con modiche quantità di stupefacenti. Spesso, quindi, giovani senza un passato criminale si trovano reclusi in condizioni precari e degradanti.
Le motivazioni che portano un detenuto a tentare il suicidio sono molteplici: la solitudine, la mancanza dei propri cari, il caldo soffocante d’estate, e, in molti casi, la presenza di disturbi psichiatrici tra i detenuti.
L’uso smodato di psicofarmaci
Nelle carceri italiane, la somministrazione di psicofarmaci ai detenuti è un problema serio. Spesso le persone entrano in carcere con diagnosi psichiatriche oppure sviluppano tali problematiche durante la detenzione. In molti istituti di pena, questi casi vengono trattati con un uso smodato di psicofarmaci.
Non di rado, i farmaci vengono somministrati senza diagnosi adeguata e senza una prescrizione specialistica, più per motivi di controllo che per un vero trattamento terapeutico. L’abuso nella somministrazione può causare dipendenza, poiché molti di questi farmaci sono potenti calmanti con un elevato rischio di assuefazione, a cui si aggiunge la somministrazione di metadone per i detenuti tossicodipendenti.
In sintesi, l’uso degli psicofarmaci in carcere è diventato uno strumento di controllo, che può avere effetti devastanti su chi ha già vissuto esperienze di coercizione psichiatrica. Inoltre, fatta eccezione per il carcere di Bollate, dove le condizioni sono nettamente migliori e i tassi di suicidio sono quasi nulli, non esistono reali programmi di supporto psicologico per i detenuti.
Le carceri italiane versano in condizioni al limite della violazione dei diritti umani. Sovraffollamento, celle anguste prive di aerazione, con temperature infernali d’estate e gelide d’inverno, violenza, suicidi e uso smodato di terapie farmacologiche senza adeguato supporto rendono il nostro sistema penitenziario uno dei peggiori in Europa.
Nonostante le numerose denunce da parte di associazioni, sigle parlamentari e cittadini, al momento non sembra esserci nulla di concreto in cantiere per migliorare le condizioni di chi, pur essendo privato della libertà, dovrebbe trovarsi in un luogo non solo di detenzione, ma anche di riabilitazione.
*Federico Valenti (Milano, 30 maggio 1999) studia giornalismo presso la scuola di Panorama e scrive per un magazine. Da sempre appassionato di informazione, storia, politica ed esteri, dedica il suo tempo all’analisi e alla divulgazione.
È attivamente impegnato nelle battaglie sociali, in particolare come membro dell’associazione Diritti alla Follia con cui collabora come editor e co-conduttore della rubrica “Rassegna Stampa”, contribuendo alla diffusione di notizie e approfondimenti.
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