*Di Federico Valenti
I Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC) sono strutture ospedaliere specializzate nel trattamento di pazienti affetti da disturbi psichiatrici in fase acuta. All’interno degli SPDC vengono effettuati sia trattamenti sanitari volontari che obbligatori, come previsto dalla legge italiana. Questi servizi fanno parte del Dipartimento di Salute Mentale e offrono assistenza continua 24 ore su 24, garantendo un ambiente terapeutico intensivo per la gestione delle emergenze psichiatriche. Oltre al ricovero, gli SPDC forniscono consulenza psichiatrica ad altri reparti ospedalieri e collaborano strettamente con i servizi territoriali per assicurare la continuità delle cure dopo la dimissione del paziente.
Tuttavia, in questi reparti vengono spesso ricoverate anche persone che non presentano disturbi definiti come tali. Pur essendo strutture temporanee, il paziente può rimanervi per un periodo indefinito, teoricamente necessario alla stabilizzazione del suo stato psichico, prima di essere indirizzato verso percorsi di cura a lungo termine. Nei reparti psichiatrici (utilizzerò questo termine, in quanto comunemente usato da pazienti e operatori) operano generalmente uno psichiatra, che dovrebbe seguire i pazienti, e personale infermieristico.
Un paziente può accedere a un reparto psichiatrico sia in modo volontario, attraverso un Trattamento Sanitario Volontario (TSV), sia contro la propria volontà, tramite un Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO), di cui ho già parlato in un precedente articolo nel nostro blog Diritti alla Follia.
L’obiettivo dovrebbe essere stabilizzare il paziente e garantirgli un adeguato percorso di cura. Tuttavia, la realtà di ciò che accade all’interno di questi reparti è spesso molto diversa da quanto ci si aspetterebbe.
La fatiscenza del reparto
Pur essendo spesso ospitati all’interno di ospedali moderni, molti reparti SPDC risultano fatiscenti. Le docce e i bagni sono poco curati, i muri spesso scrostati, le aree fumatori piene di scritte e con finestre sbarrate che limitano il ricambio d’aria, rendendo l’ambiente soffocante. Per un paziente, trovarsi in un luogo del genere non può che aggravare la sua condizione, specialmente se soffre di depressione, poiché si tratta di ambienti sporchi, trascurati, chiusi e poco accoglienti.
La poca informazione ai pazienti e la somministrazione indiscriminata di farmaci
Al momento del ricovero, i pazienti vengono subito classificati come soggetti agitati e affetti da disturbi gravi. Poiché in questi reparti sono ricoverati molti pazienti, i farmaci vengono spesso somministrati in modo indiscriminato, senza un’adeguata valutazione medica. Il carrello dei farmaci passa e i pazienti assumono benzodiazepine, neurolettici e altri psicofarmaci, senza che lo psichiatra di riferimento abbia effettuato un’adeguata visita e prescritto una terapia personalizzata. Come accade nelle carceri (tema che ho affrontato in un altro articolo), gli psicofarmaci vengono utilizzati più per controllare e sedare i pazienti che per curarli realmente.
L’assenza di figure di supporto
Nei reparti psichiatrici, il paziente può rimanere anche per periodi di tempo indeterminati, poiché non esiste una normativa che stabilisca un limite massimo di permanenza. Ho conosciuto persone che sono rimaste ricoverate per cinque mesi. Un periodo così lungo, trascorso in un ambiente dove gli psicofarmaci vengono somministrati in modo massiccio, non favorisce la guarigione, ma rende il paziente sedato e apatico.
Il problema principale è l’assenza di figure di supporto: nei reparti non è possibile interagire con psicologi o educatori, non sono previste attività di gruppo né gruppi di supporto. Il paziente può parlare solo con gli altri pazienti e con gli infermieri, ma raramente con lo psichiatra. Certamente, non tutti i reparti SPDC in Italia operano allo stesso modo, ma, sulla base di numerose testimonianze dirette e indirette, questa realtà risulta purtroppo essere assai comune.
Il contenimento forzato
Nei reparti psichiatrici è prassi comune l’uso delle fasce di contenzione. Spesso i pazienti vengono legati per motivi banali e lasciati immobilizzati a letto per ore, o addirittura per giorni. Purtroppo, come dimostra il caso Mastrogiovanni, queste pratiche hanno, in diversi casi, causato la morte del paziente. In Italia, su 318 reparti SPDC, solo 19 non utilizzano la contenzione, un dato che evidenzia la gravità della situazione.
Gli abusi nei reparti
Gli abusi nei reparti SPDC si manifestano in diverse forme: dall’uso sistematico della contenzione meccanica ai maltrattamenti verbali da parte degli operatori, fino alla somministrazione eccessiva di tranquillanti, utilizzati più per sedare i pazienti che per avviare un reale percorso di cura. Troppo spesso, infatti, i pazienti vengono trattati come nei vecchi manicomi, rievocando le pratiche in uso prima della legge Basaglia, che ne sancì l’abolizione.
Non mancano nemmeno i casi di cronaca: a Foggia, ad esempio, gli abusi in un reparto psichiatrico hanno portato ad indagare 15 persone; a Roma, una giovane donna di 25 anni ha denunciato di essere stata violentata nel reparto psichiatrico dell’ospedale Sant’Andrea.
In conclusione, possiamo affermare che, come nel caso dei TSO, dell’amministrazione di sostegno o delle carceri, la realtà dei reparti psichiatrici è spesso ben diversa da quella che dovrebbe essere. Gli SPDC, che dovrebbero essere luoghi di cura, si trasformano troppo spesso in ambienti di abuso e contenimento.
*Federico Valenti (Milano, 30 maggio 1999) studia giornalismo presso la scuola di Panorama e scrive per un magazine. Da sempre appassionato di informazione, storia, politica ed esteri, dedica il suo tempo all’analisi e alla divulgazione.
È attivamente impegnato nelle battaglie sociali, in particolare come membro dell’associazione Diritti alla Follia con cui collabora come editor e co-conduttore della rubrica “Rassegna Stampa”, contribuendo alla diffusione di notizie e approfondimenti.
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