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Diritti alla follia

Associazione impegnata sul fronte della tutela e della promozione dei diritti fondamentali delle persone in ambito psichiatrico e giuridico.

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amministrazione di sostegno

Paternalismo e Diritti: Un Confronto sull’Amministrazione di Sostegno.

Diritti alla Follia · 04/05/2025 · Lascia un commento

Di Andrea Michelazzi

In risposta all’articolo “Amministrazione di sostegno: quel 30 per cento di gravi criticità”, pubblicato il 23 aprile 2025 sul portale di Superando (Amministrazione di sostegno: quel 30 per cento di gravi criticità – Superando ).

La proposta di riforma della Legge 6/2004 promossa dall’Associazione radicale Diritti alla Follia (Proposta di Legge di iniziativa popolare di cui si può leggere a questo link ) si fonda su un principio radicale quanto imprescindibile: il pieno riconoscimento della soggettività e dei diritti della persona con disabilità. Essa si allinea ai dettati della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ne raccoglie i commenti del Comitato di riferimento, e risuona con forza con le raccomandazioni del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura. In essa si ritrovano, in filigrana, le tracce ancora vive della legge 180: il rifiuto della violenza istituzionale, il limite alla coercizione, l’affermazione della libertà come premessa della cura.

Le critiche che il professor Cendon esprime nella sua intervista – curata dall’avvocato Salvatore Nocera e da Simona Lancioni – sembrano ignorare questo orizzonte. Come già puntualizzato dalla stessa  Simona Lancioni sulle stesse pagine (link) , la proposta non è un sogno velleitario: è un tentativo concreto di rispondere alla domanda di giustizia che sale da chi, oggi, si vede privato della propria voce nel nome della tutela.

Definire tutto questo “utopistico” rivela un limite che non è solo teorico, ma antropologico: è il riflesso di un pensiero che ancora separa realtà e utopia come se fossero mondi opposti, anziché due facce della stessa esigenza di trasformazione. È la modernità giuridica che difende se stessa, protetta dalle sue eccezioni normative. Ed è in questo che la filantropia del professor Cendon mostra il suo volto più ambiguo: una filantropia che, pur dichiarandosi progressista, continua a legittimare norme “speciali” per i disabili. Una sorta di diritto parallelo, “a parte”, che ripropone – con altri nomi – logiche di esclusione che pensavamo superate.

Perché, allora, una persona senza patologie o menomazioni che decide di non pagare le bollette non viene sottoposta ad amministrazione di sostegno? Vogliamo forse introdurre una nuova categoria di “disabilità gestionale”, utile a garantire quel meccanismo di normalizzazione psichiatrico-giuridica che serve più agli interessi dell’ordine economico-sociale che a quelli della persona?

Il paternalismo del professor Cendon è, in fondo, la cartina di tornasole di un modello medico della disabilità che ancora resiste sotto la superficie del diritto. Un modello che valuta le persone sulla base di ciò che manca, di ciò che è difettoso, e non di ciò che c’è, che pulsa, che resiste.

Il diritto alla vita autonoma, alla capacità giuridica universale, non può più essere subordinato a valutazioni della “capacità naturale” o della “funzionalità”. È tempo di passare dal governo della vita alla promozione del vivere. Di spostare l’asse dal “bene presunto” dell’interesse alla dignità concreta della volontà. Di preferire la relazione alla sorveglianza, il sostegno alla delega, la fiducia alla diagnosi.

Il professor Cendon, con un’affermazione che suona più demagogica che informata, evoca la tossicodipendenza come giustificazione per l’intervento giudiziario, paragonandolo, di fatto, a un’amputazione salvifica. Ma la psichiatria – quella che ascolta, non quella che decide – sa che qui non si tratta di tagliare, ma di comprendere. La clinica delle dipendenze, delle psicosi, dei disturbi mentali gravi non si riduce a un atto di potere, né a un automatismo normativo. Qui sta la complessità: nella tensione tra libertà e cura, tra desiderio e protezione, tra il diritto di essere lasciati soli e il bisogno di non esserlo.

Dichiararsi progressisti non basta. Occorre esserlo davvero. Nell’inconscio, come direbbero Deleuze e Guattari. Nelle fibre più profonde delle nostre convinzioni, dove si decide se il diritto è uno strumento per vivere o un modo per controllare la vita degli altri.

Trieste, 28/4/2025

Con rispetto, ma anche con urgenza,
Andrea Michelazzi, membro del Direttivo dell’Associazione Radicale Diritti alla Follia
Psichiatra

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COMUNICATO STAMPA DELL’ASSOCIAZIONE ‘DIRITTI ALLA FOLLIA’: Giustizia tradita: Lo Stato punisce chi difende la libertà e protegge un sistema criminale

Diritti alla Follia · 20/03/2025 · Lascia un commento

Purtroppo è giunta oggi, 20 marzo 2025, la notizia del rigetto, da parte della Corte di Cassazione, del ricorso di Fabio Degli Angeli e Gabriella Cassano avverso la sentenza della Corte di Appello di Lecce che li aveva condannati (con altri due coimputati).

Secondo i Giudici pugliesi (ora anche secondo la Corte di Cassazione) Fabio e Gabriella sono responsabili di sequestro di persona, di abbandono di incapace, di circonvenzione di incapace, di sottrazione di incapace. Quattro reati commessi – secondo l’accusa – “ai danni” di Marta Garofalo Spagnolo: una ragazza morta a trent’ anni (oltre tre anni dopo i fatti di causa e l'”allontanamento” di Fabio e Gabriella) in una struttura psichiatrica dopo oltre dieci anni di ricoveri coatti effettuati grazie all’amministrazione di sostegno cui era sottoposta. Questa sentenza, ingiusta, punisce Fabio e Gabriella per avere cercato di aiutare Marta a vivere la vita che desiderava vivere, a sottrarsi dalla reclusione forzata che viveva già da anni, a liberarsi dalla morsa di un “sistema” criminale che – raccontando a sè stesso di agire “per proteggere” le persone con disabilità – stritola gli individui, ha stritolato Marta, sta stritolando Fabio e Gabriella, per i quali si aprono drammaticamente le porte del carcere.

Fabio e Gabriella sono innocenti. Marta Garofalo Spagnolo voleva sottrarsi al suo destino di reclusione ed ha chiesto loro aiuto. Gli alti valori – di cui si parla ogni giorno senza viverli mai – della fratellanza e dell’umana solidarietà hanno loro imposto di non restare indifferenti a tale richiesta di aiuto. Per questo vengono condannati dai Tribunali di una Repubblica delinquente, che continua a tenere sequestrate migliaia di persone con disabilità psicosociale nonostante sia teoricamente obbligata a rispettare la Convenzione delle Nazioni Unite per i Diritti delle Persone con Disabilità (CRPD) per la quale “nessuno può essere privato della libertà personale in ragione della propria condizione di disabilità “.

Questa Repubblica colpevole infierisce oggi contro gli innocenti Fabio e Gabriella: un uomo ed una donna che hanno dimostrato che “un altro mondo è possibile, che un’altra umanità è possibile”, e che oggi pagano per questo. 

Li invitiamo a “non mollare”, a continuare in un impegno diretto a riformare questo sistema criminale: noi ci siamo, ‘Diritti alla Follia’ c’è: ci auguriamo che abbiano la forza e la determinazione per continuare ad esserci anche loro.

Per maggiori informazioni sulla vicenda di Marta Garofalo, vi segnaliamo i seguenti link:

  • https://dirittiallafollia.it/2024/07/01/il-blocco-dellillegalita-istituzionale-italiana-si-manifesta-nella-drammatica-vicenda-di-marta-garofalo-spagnolo/
  • https://mad-in-italy.com/tag/marta-garofalo-spagnolo/
  • https://informareunh.it/lamministrazione-di-sostegno-e-leffetto-terra-bruciata/

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     Superiamo strumenti obsoleti e discriminanti per garantire diritti, trasparenza e protagonismo  a chi vive queste realtà
  • Riforma del Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO)
    Adeguamento alla Costituzione  e agli obblighi internazionali  per garantire il rispetto dei diritti fondamentali, la difesa effettiva e un controllo giurisdizionale rigoroso e sostanziale

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L’ AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO:USI ED ABUSI. PROCEDURE CORRETTE VS REALTÁ

Diritti alla Follia · 22/02/2025 · Lascia un commento

*Di Federico Valenti

L’amministrazione di sostegno è un istituto previsto dal codice civile italiano nato per tutelare le persone che non sono in grado di provvedere alla gestione dei propri interessi. Questo strumento permette o dovrebbe permettere (come vedremo in seguito la realtà è ben diversa) di supportare la persona lasciandogli però una certa autonomia a differenza dell’interdizione. L’intervento del giudice tutelare dovrebbe infatti garantire equilibrio tra tutela e rispetto dell’autodeterminazione del beneficiario. 

La definizione normativa  

L‘articolo 404 del Codice Civile prevede che l’amministrazione di sostegno sia una misura di protezione rivolta a coloro che, in tutto o in parte, temporaneamente o permanentemente, si trovano nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi a causa di un’infermità o di una menomazione fisica o psichica. La nomina di un amministratore di sostegno, finalizzata alla tutela della persona e del suo patrimonio, è disposta dal giudice tutelare. Il procedimento può essere avviato su istanza dello stesso beneficiario, dei suoi familiari o dei responsabili dei servizi sanitari e sociali, i quali possono segnalare la necessità di protezione al giudice tutelare.

La nomina 

L’articolo 405 del Codice Civile stabilisce che il giudice tutelare, ricevuto il ricorso, provvede alla nomina dell’amministratore di sostegno con decreto motivato, adottato entro sessanta giorni dalla presentazione della richiesta. Il decreto è immediatamente esecutivo. In caso di necessità e urgenza, il giudice può nominare un amministratore di sostegno provvisorio. La decisione deve contenere l’indicazione delle generalità del beneficiario e dell’amministratore, la durata dell’incarico, che può essere determinata o indeterminata, e l’elenco specifico degli atti che l’amministratore è autorizzato a compiere in nome e per conto del beneficiario. Il provvedimento deve inoltre definire i limiti di spesa, le modalità di gestione del patrimonio e l’obbligo di rendicontazione periodica al giudice tutelare.

Il procedimento  

L’articolo 407 del Codice Civile stabilisce che il ricorso per la nomina dell’amministratore di sostegno deve contenere le generalità del beneficiario, la sua dimora abituale, le ragioni su cui si basa la richiesta e l’indicazione del coniuge, della parte dell’unione civile, del convivente di fatto, dei parenti entro il quarto grado e degli affini entro il secondo grado. Il giudice tutelare è tenuto ad ascoltare personalmente il beneficiario, salvo che ciò risulti impossibile a causa di impedimenti oggettivi. Nel procedimento, il giudice valuta i bisogni e le richieste del beneficiario, garantendo un equilibrio tra protezione e autonomia, e vigila sulla corretta applicazione delle misure di tutela.

I criteri di scelta 

L’articolo 408 del Codice Civile stabilisce i criteri per la scelta dell’amministratore di sostegno. Il giudice deve tener conto esclusivamente della cura e degli interessi del beneficiario. Quest’ultimo può designare anticipatamente il proprio amministratore con un atto pubblico o una scrittura privata autenticata. In assenza di una designazione, il giudice preferisce, ove possibile, il coniuge non separato legalmente, la parte dell’unione civile, il convivente di fatto, i genitori, i figli, i fratelli o altri parenti entro il quarto grado. Non possono essere nominati amministratori di sostegno gli operatori di servizi pubblici o privati che abbiano in cura o assistano il beneficiario, salvo che si tratti di familiari e il giudice lo ritenga opportuno. In ogni caso, il giudice può nominare una persona idonea se ciò risponde meglio agli interessi del beneficiario.

Gli effetti dell’amministrazione  

Secondo l’articolo 409 del Codice Civile, il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono l’intervento esclusivo o l’assistenza dell’amministratore di sostegno. In particolare, il beneficiario può compiere autonomamente gli atti necessari per le esigenze della vita quotidiana. L’amministratore di sostegno interviene solo negli atti per i quali è stato specificamente autorizzato dal giudice, secondo quanto stabilito nel decreto di nomina.

I doveri dell’amministratore di sostegno 

Secondo l’articolo 410 del Codice Civile, l’amministratore di sostegno deve operare nel rispetto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario, agendo nell’interesse esclusivo di quest’ultimo. È tenuto a informare il beneficiario sugli atti che intende compiere e deve consultare il giudice tutelare in caso di disaccordo. Se l’amministratore di sostegno agisce in modo negligente o dannoso, il giudice può revocarlo su segnalazione del beneficiario, dei familiari, del pubblico ministero o di altri soggetti interessati.

L’articolo 411 stabilisce che la durata dell’incarico non può superare i 10 anni, salvo eccezioni per il coniuge, il convivente stabile o un parente stretto, per i quali può essere prevista una durata superiore.

Gli atti annullabili 

Gli articoli 412 e 413 del Codice Civile disciplinano l’annullamento degli atti compiuti dall’amministratore di sostegno oltre i poteri concessi. L’articolo 412 stabilisce che gli atti compiuti dal beneficiario in violazione delle limitazioni stabilite nel decreto di nomina possono essere annullati su richiesta dell’amministratore di sostegno, del pubblico ministero o di chiunque vi abbia interesse.

 La revoca dell’amministratore di sostegno 

 L’articolo 413 del Codice Civile prevede che la revoca dell’amministrazione di sostegno possa essere richiesta dal beneficiario, dall’amministratore di sostegno, dal pubblico ministero o dai familiari indicati nell’articolo 406.

Il giudice tutelare provvede con decreto motivato, dopo aver svolto le necessarie verifiche.

L’amministrazione di sostegno cessa quando si dimostra inadeguata alla tutela del beneficiario. In tal caso, se le condizioni del beneficiario lo richiedono, il giudice può disporre l’apertura di un procedimento di interdizione o inabilitazione.

La Riforma Cartabia ha apportato significative modifiche alla disciplina dell’amministrazione di sostegno nel codice di procedura civile italiano. In particolare, ha introdotto il Titolo IV-bis nel Libro Secondo, intitolato “Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie”, all’interno del quale il Capo III, Sezione III, è dedicato ai “Procedimenti di interdizione, di inabilitazione e di nomina di amministratore di sostegno”. L’articolo 473-bis.58 stabilisce che ai procedimenti in materia di amministrazione di sostegno si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni della presente sezione. Inoltre, la riforma prevede che i decreti del giudice tutelare siano reclamabili al tribunale, mentre quelli emessi dal tribunale in composizione collegiale possono essere impugnati in Cassazione.

Le prassi

La procedura descritta sopra rappresenta la corretta assegnazione dell’amministratore di sostegno, ma spesso la realtà è ben diversa dalla legge. La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (CRPD) ha evidenziato le criticità dei sistemi di protezione giuridica, tra cui l’uso eccessivo delle istituzioni, la scarsa qualità della vita dei beneficiari e la presenza di pratiche illegali. L’amministrazione dei servizi di supporto si rivela spesso inefficace, con professionisti che tendono a privilegiare i propri interessi anziché quelli dei beneficiari.

Le rovinose e abusive necessità e facilità dell’implementazione dell’amministrazione di sostegno

Questa ideologia di protezione delle persone fragili ha portato a una pratica inefficiente e propagandata che spesso complica i problemi anziché risolverli. L’amministrazione di sostegno viene adottata senza considerare soluzioni familiari meno invasive e i suoi effetti reali sono spesso sconosciuti. Le persone coinvolte non sono quasi mai consapevoli dei suoi limiti, dei processi burocratici e dei costi. Una volta avviata, è difficile da interrompere, soprattutto per anziani o persone con disabilità psicosociali. Il processo può essere semplificato per consentire comunicazioni informali, sollevando preoccupazioni sulla supervisione e sull’efficacia. L’istituto, nella sua forma attuale, viola i diritti fondamentali di chi ha una limitata autonomia. Le regole di applicazione e funzionamento sono sistematicamente trascurate e violate dai giudici tutelari italiani, nonostante le raccomandazioni dell’ONU.

I principali problemi sono:

  1. Aumento delle nomine di amministratori di sostegno senza l’audizione dei beneficiari;
  2. Sottovalutazione dell’impatto emotivo e psicologico da parte dei giudici tutelari;
  3. Effetti devastanti sull’individualità e la dignità dei soggetti coinvolti;
  4. Critica mancanza di intelligenza emotiva nel sistema;
  5. Necessario affiancamento di esperti in psicologia ai giudici;
  6. Nomina di amministratori di sostegno a figure non adeguate al contesto attuale.

La preferenza del beneficiario deve essere rispettata anche nei casi di conflitto familiare o con i servizi socio-sanitari. Il ruolo del proponente nella richiesta di amministrazione di sostegno deve fermarsi alla presentazione del ricorso giudiziale, senza diritto di indicare un fiduciario. Quest’ultimo deve essere una persona di estrema fiducia per il diretto interessato e non può essere scelto dai familiari o dai servizi sociali in presenza di un conflitto. Il giudice tutelare non deve assumere il ruolo di mediatore familiare, poiché la limitazione della capacità di agire deve sempre rispettare la volontà del singolo.

La preferenza deve essere individuata anche nei casi di limitata o assente capacità di comunicazione del beneficiario

Il giudice tutelare deve concentrarsi sulla volontà del beneficiario anche in caso di comunicazione limitata. La decisione deve mirare, come indicato dalla giurisprudenza, a ricostruire la volontà della persona.

Le criticità dell’amministrazione di sostegno

  1. La professione di amministratore di sostegno L’istituto dell’amministrazione di sostegno in Italia ha generato preoccupazioni per le violazioni dei diritti fondamentali delle persone con disabilità e ha creato una vera e propria “professione”. Il bisogno di tali amministratori può favorire interessi legati ai giudici tutelari, che sfruttano conflitti e difficoltà nella gestione dei beneficiari.
  2. Il problema del numero di assistiti da un solo amministratore La gestione di un numero eccessivo di beneficiari da parte di un singolo amministratore compromette la qualità dell’assistenza e genera rendite elevate per l’amministratore, a scapito dei beneficiari. L’amministrazione di sostegno dovrebbe essere gratuita, come accadrebbe se fosse affidata a familiari o persone di fiducia.
  3. La caccia al beneficiario più ricco e fragile Si denuncia la crescente diffusione dell’amministrazione di sostegno come strumento per appropriarsi dei patrimoni degli anziani. L’indennità del giudice tutelare aumenta con la complessità e la dimensione del patrimonio da gestire, rendendo gli anziani facoltosi obiettivi appetibili. La loro fragilità viene spesso sfruttata per giustificare l’imposizione di un amministratore di sostegno esterno, spesso proposto da servizi socio-sanitari con interessi economici.
  4. L’effettiva dimensione dell’affare “amministrazione di sostegno” L’amministratore di sostegno sostituisce il beneficiario in tutte le decisioni, dalla scelta di un badante a quella di un commercialista, creando un indotto economico che penalizza la libertà del beneficiario.
  5. Il concreto funzionamento dell’amministrazione di sostegno L’estraneità dell’amministratore di sostegno al vissuto del beneficiario genera conflitti e difficoltà nella gestione quotidiana. Il beneficiario vive con insofferenza la dipendenza, contesta le decisioni dell’amministratore e cerca di ottenere giustizia dal giudice tutelare. L’amministratore diventa il bersaglio dei conflitti familiari, coinvolgendo il giudice tutelare in ogni scelta non condivisa.
  6. La secretazione della procedura del fascicolo telematico Una pratica diffusa nei procedimenti di amministrazione di sostegno è la secretazione del fascicolo telematico. Questo impedisce ai familiari e, spesso, allo stesso beneficiario, di accedere ai documenti e contestare eventuali decisioni.
  7. L’isolamento del beneficiario In alcuni casi, l’amministrazione di sostegno diventa uno strumento di controllo e limitazione della libertà del beneficiario, collocato in strutture come RSA o comunità alloggio. Queste strutture, per incentivare l’amministratore e il giudice tutelare, minimizzano i problemi e silenziano le lamentele del beneficiario.
  8. Il disastro finanziario Il sistema attuale porta a un disastro finanziario per chi mette in discussione le decisioni, costringendolo ad assumere avvocati e consulenti per essere ascoltato dal giudice tutelare. Nel frattempo, terzi soggetti traggono profitto dalla procedura, traendo guadagni dagli amministratori di sostegno, dai consulenti nominati dal tribunale e persino dai giudici tutelari.

Per testimonianze sulla realtà dell’amministrazione di sostegno, invitiamo i lettori a visitare il nostro canale YouTube per ascoltare direttamente le esperienze di chi l’ha vissuta https://youtube.com/@associazioneradicalediritt5504?si=3MHMTP1FjfwTZ3dA

✍ Firma entrambe le proposte di Legge di ‘Diritti alla Follia’ online 👉 https://bit.ly/4gadjYU

*Federico Valenti (Milano, 30 maggio 1999) studia giornalismo presso la scuola di Panorama e scrive per un magazine. Da sempre appassionato di informazione, storia, politica ed esteri, dedica il suo tempo all’analisi e alla divulgazione.

È attivamente impegnato nelle battaglie sociali, in particolare come membro dell’associazione Diritti alla Follia con cui collabora come editor e co-conduttore della rubrica “Rassegna Stampa”, contribuendo alla diffusione di notizie e approfondimenti.

Fonti:

  Codice civile sull’amministrazione di sostegno: L’articolo 404 del Codice Civile italiano disciplina l’istituto dell’amministrazione di sostegno. Puoi consultare il testo completo qui: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2004/01/19/004G0017/sg

  Documento di “Diritti alla Follia”: L’associazione “Diritti alla Follia” ha pubblicato un documento intitolato “La realtà dell’amministrazione di sostegno in Italia”, che analizza criticità e funzionamento dell’istituto. Il documento è disponibile ai seguenti link: https://dirittiallafollia.it/wp-content/uploads/2021/06/La-realta-dellamm-di-sostegno-in-Italia.pdf

La realtà dell’amministrazione di sostegno in Italia

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Comunicato stampa:Processo a Gigi Monello:una vicenda simbolo di ingiustizia e una richiesta di cambiamento

Diritti alla Follia · 19/12/2024 · Lascia un commento

Cagliari, 19 dicembre 2024 – È forse il caso più emblematico dei paradossi insiti nella Legge 6/2004 sull’Amministrazione di Sostegno. Sin dal settembre 2020, la nostra Associazione segue con apprensione e indignazione la vicenda giudiziaria di Gigi Monello: ex insegnante, scrittore, editore, oggi attivista della nostra rete. Un uomo colpevole, a quanto pare, di aver troppo amato e protetto sua madre, “disturbando” gli ingranaggi di un sistema consolidato che si articola in tre elementi: Amministratori di Sostegno (AdS), Giudici Tutelari e Procure della Repubblica.

Il caso Monello si è trascinato per tre anni in Tribunale, con sette udienze e accuse che oscillano tra il surreale e il calunnioso: maltrattamenti e stalking. Il prossimo 19 dicembre 2024, alle ore 10:30, nel Tribunale di Cagliari, si svolgerà l’ultima udienza, che culminerà con le richieste del PM, l’arringa difensiva e la sentenza.

Dietro le accuse, emerge un disegno inquietante: l’allontanamento di un figlio dalla madre – un rapporto affettivo durato 67 anni – sancito dall’intervento di un’Amministratrice di Sostegno estranea alla famiglia, con il pieno avallo di un Giudice Tutelare e la complicità della Procura. Una decisione che non può lasciare indifferenti: siamo di fronte alla negazione dei legami familiari e alla violazione del diritto di affetto e cura.

La vicenda di Gigi Monello è solo una delle centinaia di storie di relazioni affettive violate che la nostra Associazione, Diritti alla Follia, ha portato alla luce in questi anni. Non ci fermeremo. L’aberrazione giuridica e umana generata da questa Legge impone una riflessione collettiva e una riforma urgente.

Ad ogni udienza del processo, siamo stati presenti, documentando e commentando in diretta sui nostri canali social.

Mesi fa Diritti alla Follia ha depositato presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione una Proposta di Legge di iniziativa popolare per l’abolizione dell’interdizione e dell’inabilitazione, nonché per la riforma dell’Amministrazione di Sostegno. La Campagna di raccolta firme, “Fragile a Chi?!”, è in corso.

Il 19 dicembre, intorno alle ore 12.00 saremo sulla scalinata d’accesso al Palazzo di Giustizia di Cagliari, per far sentire la nostra voce, con coraggio e determinazione.

Invitiamo la stampa locale, i cittadini, le associazioni e le persone sensibili a queste tematiche a unirsi a noi.

FIRMA ORA LA PROPOSTA DI LEGGE – DA OGGI, ONLINE!

Abolizione dell’Interdizione e dell’Inabilitazione e riforma dell’Amministrazione di Sostegno, strumenti obsoleti e discriminanti devono lasciare spazio a diritti, trasparenza e protagonismo per chi vive questa realtà.

Bastano pochi clic per fare la differenza: firma gratuitamente online con SPID, CIE o CNS sulla piattaforma pubblica, senza uscire di casa.

Firma qui per la riforma dell’Amministrazione di Sostegno
https://pnri.firmereferendum.giustizia.it/referendum/open/dettaglio-open/1800001

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Duplice appello al Ministro della Giustizia Carlo Nordio per il riconoscimento dei “Diritti alla Follia”

Diritti alla Follia · 14/10/2024 · Lascia un commento

L’associazione “Diritti alla Follia” si batte da anni per una riforma profonda dell’attuale sistema dell’amministrazione di sostegno in Italia, una legge che, pur nata con l’intento di tutelare le persone direttamente coinvolte nella procedura, sta causando sofferenze e ingiustizie per molti di coloro che dovrebbero esserne i beneficiari.

Tra le sue voci, c’è quella di Giancarlo De Palo, che nelle scorse settimane ha scritto due lettere aperte al Ministro di Grazia e Giustizia Carlo Nordio, per denunciare la propria drammatica esperienza e chiedere un intervento urgente.

Giancarlo è noto soprattutto per la sua attività a favore della sorella Graziella De Palo, giornalista investigativa. Ventiquattrenne, Graziella sparì a Beirut il 2 settembre 1980, insieme al collega Italo Toni. Da allora Giancarlo è impegnato per ottenere la verità sulla vicenda e sul ruolo delle organizzazioni terroristiche, coperte dai nostri Servizi segreti in ossequio al “Lodo Moro”: la magistratura romana, sulla base del materiale da lui raccolto, giunse all’arresto dello 007 italiano, colonnello Stefano Giovannone, mentre tutta la vicenda fu messa a tacere dal Segreto di Stato opposto dall’allora Presidente del consiglio Bettino Craxi.

Giancarlo De Palo ha dedicato e dedica ancora gran parte della propria vita a sensibilizzare l’opinione pubblica e a cercare giustizia per sua sorella.

Nella sua lettera aperta, egli racconta come, dal 15 marzo 2022, sia stato trascinato in un “circuito psichiatrico” senza apparente via d’uscita. Questo percorso ha avuto inizio presso un Centro di Salute Mentale a Roma.

Da quel momento, racconta, è stato costretto al ricovero in una clinica, in cui è stato obbligato a subire, per la prima volta nella sua vita, trattamenti farmacologi invasivi, come il potente neurolettico “Mantena dépôt”, che gli ha subito provocato un netto peggioramento delle condizioni fisiche e psichiche ed una confusione costante tra il sogno e la realtà, andate avanti con gravi malattie e ricoveri prolungati.

Il racconto di Giancarlo è una cronaca di sofferenze, tra patologie debilitanti ed un doloroso allontanamento dal proprio quotidiano, in quanto il suo amministratore di “sostegno”, racconta Giancarlo, decise di affittare il suo appartamento, che si trova sullo stesso pianerottolo di quello nel quale vive sua madre, separandolo da lei.

Questa situazione, gestita dal giudice tutelare e dall’amministratore stesso, si è rivelata un incubo senza fine per Giancarlo, che ora si trova in una casa alloggio vicino Roma, dove è stato portato e depositato “come un pacco postale”.

L’appello di Giancarlo De Palo non si ferma alla sua personale vicenda: egli chiede appunto una riforma radicale della legge sull’amministrazione di sostegno, una legge atipica rispetto a quelle vigenti nelle democrazie liberali avanzate che è stata fortemente messa in discussione fin dall’inizio dall’Associazione “Diritti alla Follia”. Il suo desiderio è che il suo caso serva ad esempio per una discussione legislativa più ampia, che porti ad un cambiamento reale ed equo per tutte le persone coinvolte in queste situazioni.

In una seconda lettera, Giancarlo De Palo denuncia la propria “deportazione” nella struttura in cui si trova attualmente e nella quale risiede con altre persone che condividono la sua stessa situazione, vittime della medesima legge. La richiesta è chiara: la liberazione dalle loro attuali condizioni e un’accelerazione delle pratiche che consenta loro il controllo delle proprie vite.

Come scritto in questo secondo appello, Giancarlo si iscrive contestualmente all’associazione “Diritti alla Follia”, riconoscendo il valore della sua battaglia per i diritti delle persone sottoposte a trattamenti e amministrazioni forzate.

Queste due lettere aperte rappresentano un grido d’aiuto e un’accusa nei confronti di un sistema che, secondo Giancarlo De Palo, non tutela, ma imprigiona.

L’associazione “Diritti alla Follia” continua a sostenere la necessità di una riforma, affinché casi come quello di Giancarlo e di molti altri, possano essere affrontati con rispetto della dignità e dei diritti fondamentali, partendo proprio da coloro che vivono la situazione di Giancarlo.

Visita la pagina della Campagna

https://dirittiallafollia.it/campagna-riforma-amministrazione-sostegno/

Firma la Proposta di Legge

https://dirittiallafollia.it/campagna-riforma-amministrazione-sostegno/#comuni

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