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Diritti alla follia

Associazione impegnata sul fronte della tutela e della promozione dei diritti fondamentali delle persone in ambito psichiatrico e giuridico.

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diritti alla follia

TSO e sentenza 76/2025: la Costituzione chiama, ma le istituzioni rispondono con un link

Diritti alla Follia · 16/06/2025 · Lascia un commento

Di Cristina Paderi

Con la sentenza n. 76 del 30 maggio 2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionali alcune disposizioni della legge 833/1978 nella parte in cui non garantiscono che la persona sottoposta a TSO sia:

  • informata del provvedimento;
  • ascoltata dal giudice;
  • messa nelle condizioni di esercitare il proprio diritto di difesa

Una pronuncia storica, che impone un cambio radicale nelle oltre 5000 procedure di TSO applicate ogni anno in Italia. Secondo la Corte, l’incontro tra diretto interessato e giudice tutelare deve avvenire “nel luogo in cui la persona si trova”, ovvero, nella stragrande maggioranza dei casi, in un reparto psichiatrico.

Tuttavia, segnali allarmanti arrivano dalle prime interpretazioni operative.

Le prime indicazioni operative, emerse ad esempio a Cagliari e Bologna, adottano un approccio formalmente rispettoso del dettato costituzionale, ma sostanzialmente problematico.

Il documento dell’ASL 8 di Cagliari prevede infatti che l’audizione del paziente avvenga in SPDC – quindi nel luogo fisico del ricovero – ma attraverso collegamento video con il giudice, senza che quest’ultimo si rechi personalmente in reparto.

Una linea simile è contenuta nelle linee guida del Tribunale di Bologna, dove si chiarisce che:

  • il giudice tutelare ascolta il paziente tramite collegamento audiovisivo su piattaforma Teams, dalla struttura ospedaliera;
  • il personale medico deve garantire condizioni adeguate per una reale interlocuzione;
  • la finestra oraria per l’audizione viene concordata con la struttura, sulla base delle condizioni psichiche del paziente.

In entrambi i casi, si parla quindi di audizione in SPDC, ma con giudice “in remoto”.

Come ha sottolineato Michele Capano, presidente di Diritti alla Follia:

“Questa sentenza ci dice che per mezzo secolo si è applicata una legge incostituzionale. Ma se ora il giudice parla col paziente via video, magari già sedato, allora nulla cambia davvero.”

La proposta di riforma elaborata da Diritti alla Follia insiste su un punto che né la sentenza né le linee guida locali valorizzano abbastanza: la presenza obbligatoria del difensore.

“Il TSO è una forma di privazione della libertà. Come tale, deve prevedere garanzie effettive, a partire dalla difesa tecnica obbligatoria e gratuita.”

Nella proposta dell’associazione:

  • ogni persona sottoposta a TSO ha diritto a un difensore d’ufficio, da nominare subito;
  • è prevista la possibilità di scegliere un avvocato di fiducia;
  • l’udienza non può svolgersi in assenza del difensore;
  • deve essere garantito il contatto tra avvocato e paziente, anche durante il ricovero

L’avvocato non è un optional, ma l’unico soggetto abilitato a verificare che i diritti vengano rispettati. Nessun giudice, medico, tutore o amministratore di sostegno può sostituirsi a questa funzione.

La videopresenza non è presenza. La Corte Costituzionale ha parlato chiaro: il giudice deve incontrare la persona nel luogo dove si trova, non semplicemente “collegarsi”. L’incontro reale serve a valutare:

  • lo stato psichico della persona,
  • la sua capacità di comprendere e opporsi,
  • il contesto familiare o sociale,
  • il rispetto del divieto di trattamenti violenti o degradanti

Per questo chiediamo:

  • che i giudici si rechino fisicamente nei reparti;
  • che gli avvocati siano presenti, competenti e informati;
  • che le autorità non optino per scorciatoie tecniche che svuotano di senso una conquista costituzionale.

👉 Diritti alla Follia continuerà a vigilare affinché la sentenza non resti un documento simbolico, ma diventi realtà quotidiana per tutte le persone coinvolte nei TSO

Allegati: Indicazioni organizzative TSO Tribunale Cagliari – Linee guida Tribunale di Bologna

Indicazioni organizzative nelle procedure di TSO-Tribunale Cagliari – Sentenza Corte Costituzionale n. 76 del 30.05.2025Download

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Dopo mezzo secolo la sentenza della Corte Costituzionale: la normativa che regola il TSO viola la Costituzione

Diritti alla Follia · 16/06/2025 · Lascia un commento

Di L.E.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 76 del 30 maggio 2025, ha sancito ciò che l’Associazione ‘Diritti alla Follia‘ denuncia da anni: l’articolo 35 della legge n. 833 del 23 dicembre 1978 (Istituzione del servizio sanitario nazionale) che, insieme agli artt. 33 e 34 disciplina il Trattamento Sanitario Obbligatorio, è incostituzionale.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24124 del 9 settembre 2024, aveva sollevato dubbi di conformità costituzionale della normativa del TSO, nello specifico dell’articolo 35, per quanto concerne la mancata previsione di comunicazione del provvedimento al destinatario del provvedimento e l’assenza di garanzie di diritto di difesa e contraddittorio.

Fino ad oggi infatti, le decine di migliaia di cittadini colpiti ogni anno dal provvedimento di trattamento coattivo, non avevano possibilità di difendersi tempestivamente ed efficacemente, in quanto non venivano nemmeno preventivamente informati di essere destinatari di tale grave misura di limitazione della propria libertà, e non veniva loro assicurata la possibilità di far valere le proprie ragioni davanti ad un giudice, assistiti da un difensore.

La Consulta ha correttamente inquadrato la natura del TSO, ovvero quella di trattamento sanitario propriamente coattivo, più che obbligatorio, e ha decretato che pertanto esso richiede lo stesso diritto di contraddittorio previsto per le misure cautelari penali. Occorrerà dunque comunicare il provvedimento sindacale e notificare il decreto di convalida alla persona interessata o al suo legale rappresentante, che andranno auditi prima della eventuale ratifica del Giudice Tutelare.

Attraverso la proposta di legge di riforma del TSO elaborata dalla nostra associazione, Diritti alla Follia, e depositata presso la Corte di Cassazione a novembre dell’anno scorso, miravamo a rendere la procedura del TSO più garantista assicurando fosse in linea con i principi della Costituzione e gli obblighi internazionali assunti dall’Italia.

Con la recente sentenza di cui sopra la Corte Costituzionale ha di fatto suggellato la fondatezza delle rimostranze che in questi anni abbiamo espresso attraverso il nostro attivismo, ritenendo fondata la questione posta dalla Corte di Cassazione nella persona del Procuratore generale e ha annullato l’art. 35 della Legge n. 833/1978 (Istituzione del servizio sanitario nazionale) nella parte in cui non prevede che il provvedimento del sindaco che dispone il trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera sia comunicato alla persona sottoposta al trattamento; che la stessa sia sentita dal giudice tutelare prima della convalida; e che il relativo decreto di convalida sia a quest’ultima notificato.

La Corte Costituzionale ha ritenuto che, essendo il TSO “un vero e proprio trattamento sanitario coattivo, in quanto disposto contro la volontà dell’interessato e incidente sulla sua libertà fisica”, deve essere garantito il contraddittorio analogamente a quanto previsto per le misure cautelari penali, necessario per rendere effettive le garanzie costituzionali relative alla libertà personale e al diritto di difesa.

Gli articoli costituzionali richiamati dalla Consulta che ad avviso della stessa sono in sofferenza nella disciplina fino ad oggi prevista dal TSO sono nel dettaglio gli artt.13, 24, 32 e 111.

L’art. 13 è incentrato sulla limitazione della libertà personale, la quale richiede ci sia sempre un’autorità giurisdizionale che, qualora un individuo venga privato della libertà personale, debba operare una valutazione di garanza. Tale valutazione, così come la normativa del TSO è stata inizialmente concepita, non trovava garanzia di effettivo svolgimento, in quanto l’audizione della persona coinvolta da parte del Giudice Tutelare era prevista come mera eventualità, e nella realtà dei fatti non si hanno testimonianze abbia mai avuto luogo. Secondo la Corte Costituzionale – l’audizione in sede di convalida “assume la valenza di strumento di primo contatto, che consente di conoscere le reali condizioni in cui versa la persona interessata, anche dal punto di vista dell’esistenza di una rete di sostegno familiare e sociale”; viene inoltre  sottolineato che la mancata comunicazione al diretto interessato e la sua esclusione dall’audizione rendono il controllo giudiziale “meramente formale”, impedendo di verificare in concreto i presupposti sostanziali del trattamento e violando diritti fondamentali come quello di difesa e di partecipazione al procedimento. Nella sentenza della Consulta viene chiaramente affermato: “Non si oppongono all’obbligo di comunicazione e all’obbligo di audizione le ragioni dell’urgenza connesse alla convalida”, poiché “si tratta di adempimenti connessi alla libertà personale e al nucleo incomprimibile del diritto di difesa “.

La violazione dell’art. 24, che riconosce il diritto di difesa come fondamentale, è stata individuata dalla Corte in quanto al soggetto destinatario di TSO ne è stata fino ad ora sempre negata la garanzia, mentre il richiamo all’art.111 si riferisce alla mancata previsione del diritto al contradditorio dell’individuo all’interno del procedimento: nella pronuncia della Corte viene asserita la sussistenza della capacità processuale della persona sottoposta a TSO, che la legittima al contraddittorio, attraverso il riferimento al principio generale secondo cui “la persona conserva la piena capacità processuale proprio nei procedimenti volti a verificare la sussistenza dei presupposti idonei a condurre a una limitazione della sua capacità di agire, come attestato dalle previsioni in tale direzione dettate per altri giudizi che coinvolgono persone con fragilità psichiche”.

L’insieme di tutte queste lapalissiane criticità giuridiche costituiscono un vero e proprio calpestamento della decantata dignità dell’individuo citata nell’art. Costituzionale n°32.  
Risulta a questo punto ormai assodato che l’impropriamente definita “Legge Basaglia” è stata quindi fin dal suo concepimento incompatibile con i diritti fondamentali previsti dallo Statuto Costituzionale, come hanno tragicamente sperimentato sulla propria pelle le numerose migliaia di persone che, in questi decenni che ci separano dall’entrata in vigore della Legge 833/78, hanno subito aberranti violazioni dei diritti umani ad opera delle istituzioni psichiatriche.

 La tardiva folgorazione sulla via di Damasco che sembra aver colto dapprima gli ermellini della Cassazione e poi i giudici custodi della Costituzione, a cui ironicamente rendiamo il merito di questa importante svolta giurisprudenziale, può essere spiegata con una verosimile maturazione dei tempi socio-politici, come risultato di scontro tra “forze” critiche e riformiste che sono riuscite a “spuntare” un pur ragguardevole successo nei confronti di un establishment psichiatrico conservatore e aggrappato con tutti gli artigli al proprio status di potere.

Il meccanismo giuridico vigente in Italia, che prevede che soltanto un giudice, nell’ambito di un procedimento penale, civile o amministrativo possa adire alla Corte Costituzionale al fine di richiedere una valutazione di costituzionalità di una data norma, ha sicuramente contribuito all’imperdonabile ritardo con cui si è giunti alla censura di una normativa illegale.

Nella fattispecie, il verdetto di incostituzionalità è il risultato dell’accoglimento dei rilievi mossi dal procuratore generale della prima sezione civile della Corte di Cassazione nell’ambito di un procedimento civile avente oggetto un TSO subito da una donna siciliana costituitasi parte lesa. La Cassazione, nella propria interrogazione, ha fatto riferimento al rapporto del Cpt (Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura) che nel 2023 ha segnalato che il TSO in Italia segue un “formato standardizzato e ripetitivo” in cui il Giudice tutelare “non incontra mai i pazienti, che rimangono disinformati circa il loro status legale”.

Nonostante la svolta normativa in senso garantista, che d’ora in avanti vincolerà (almeno formalmente) l’agire degli operatori dei Servizi psichiatrici, non possiamo esimerci dal sollevare più di qualche dubbio in merito all’effettiva implementazione delle direttive delineate nella sentenza n°76/2025.  Il rischio che si profila all’orizzonte è infatti che l’audizione dell’interessato dal provvedimento si risolva con una video-chiamata del giudice a una persona già sedata, a seguito della quale si autorizzerà il TSO, mortificando così la garanzia del controllo sul divieto di violenza fisica e morale da parte del Giudice Tutelare vanificando gli intenti della Corte Costituzionale. Si segnala a questo proposito che il Tribunale di Milano ha inoltrato una comunicazione “a tutti gli ospedali del circondario” chiedendo l’attivazione di un numero di telefono adibito alle videochiamate con i giudici tutelari.

Pur accogliendo positivamente questi recenti sviluppi, constatiamo di dover continuare ad impegnarci affinché sia ottenuto il raggiungimento dei punti indicati nella proposta di riforma messa  a punto dalla nostra Associazione e da noi ritenuti fondamentali: la definizione di criteri oggettivi e giuridicamente definiti e inequivocabili che presuppongano la legittimità del TSO, il divieto di contenzione meccanica e farmacologica (attualmente sistematicamente impiegate nei reparti psichiatrici di diagnosi e cura), la riduzione della durata massima della detenzione sanitaria ed altri ancora che il lettore può scoprire leggendo il testo della proposta di riforma elaborata dalla nostra associazione.

 Qui il link:  https://dirittiallafollia.it/proposte/

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Paternalismo e Diritti: Un Confronto sull’Amministrazione di Sostegno.

Diritti alla Follia · 04/05/2025 · Lascia un commento

Di Andrea Michelazzi

In risposta all’articolo “Amministrazione di sostegno: quel 30 per cento di gravi criticità”, pubblicato il 23 aprile 2025 sul portale di Superando (Amministrazione di sostegno: quel 30 per cento di gravi criticità – Superando ).

La proposta di riforma della Legge 6/2004 promossa dall’Associazione radicale Diritti alla Follia (Proposta di Legge di iniziativa popolare di cui si può leggere a questo link ) si fonda su un principio radicale quanto imprescindibile: il pieno riconoscimento della soggettività e dei diritti della persona con disabilità. Essa si allinea ai dettati della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ne raccoglie i commenti del Comitato di riferimento, e risuona con forza con le raccomandazioni del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura. In essa si ritrovano, in filigrana, le tracce ancora vive della legge 180: il rifiuto della violenza istituzionale, il limite alla coercizione, l’affermazione della libertà come premessa della cura.

Le critiche che il professor Cendon esprime nella sua intervista – curata dall’avvocato Salvatore Nocera e da Simona Lancioni – sembrano ignorare questo orizzonte. Come già puntualizzato dalla stessa  Simona Lancioni sulle stesse pagine (link) , la proposta non è un sogno velleitario: è un tentativo concreto di rispondere alla domanda di giustizia che sale da chi, oggi, si vede privato della propria voce nel nome della tutela.

Definire tutto questo “utopistico” rivela un limite che non è solo teorico, ma antropologico: è il riflesso di un pensiero che ancora separa realtà e utopia come se fossero mondi opposti, anziché due facce della stessa esigenza di trasformazione. È la modernità giuridica che difende se stessa, protetta dalle sue eccezioni normative. Ed è in questo che la filantropia del professor Cendon mostra il suo volto più ambiguo: una filantropia che, pur dichiarandosi progressista, continua a legittimare norme “speciali” per i disabili. Una sorta di diritto parallelo, “a parte”, che ripropone – con altri nomi – logiche di esclusione che pensavamo superate.

Perché, allora, una persona senza patologie o menomazioni che decide di non pagare le bollette non viene sottoposta ad amministrazione di sostegno? Vogliamo forse introdurre una nuova categoria di “disabilità gestionale”, utile a garantire quel meccanismo di normalizzazione psichiatrico-giuridica che serve più agli interessi dell’ordine economico-sociale che a quelli della persona?

Il paternalismo del professor Cendon è, in fondo, la cartina di tornasole di un modello medico della disabilità che ancora resiste sotto la superficie del diritto. Un modello che valuta le persone sulla base di ciò che manca, di ciò che è difettoso, e non di ciò che c’è, che pulsa, che resiste.

Il diritto alla vita autonoma, alla capacità giuridica universale, non può più essere subordinato a valutazioni della “capacità naturale” o della “funzionalità”. È tempo di passare dal governo della vita alla promozione del vivere. Di spostare l’asse dal “bene presunto” dell’interesse alla dignità concreta della volontà. Di preferire la relazione alla sorveglianza, il sostegno alla delega, la fiducia alla diagnosi.

Il professor Cendon, con un’affermazione che suona più demagogica che informata, evoca la tossicodipendenza come giustificazione per l’intervento giudiziario, paragonandolo, di fatto, a un’amputazione salvifica. Ma la psichiatria – quella che ascolta, non quella che decide – sa che qui non si tratta di tagliare, ma di comprendere. La clinica delle dipendenze, delle psicosi, dei disturbi mentali gravi non si riduce a un atto di potere, né a un automatismo normativo. Qui sta la complessità: nella tensione tra libertà e cura, tra desiderio e protezione, tra il diritto di essere lasciati soli e il bisogno di non esserlo.

Dichiararsi progressisti non basta. Occorre esserlo davvero. Nell’inconscio, come direbbero Deleuze e Guattari. Nelle fibre più profonde delle nostre convinzioni, dove si decide se il diritto è uno strumento per vivere o un modo per controllare la vita degli altri.

Trieste, 28/4/2025

Con rispetto, ma anche con urgenza,
Andrea Michelazzi, membro del Direttivo dell’Associazione Radicale Diritti alla Follia
Psichiatra

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Verso il benessere psicosociale basato sui diritti: Analisi critica delle nuove Linee Guida dell’OMS

Diritti alla Follia · 13/04/2025 · Lascia un commento

Il recente documento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), “Guidance on Mental Health Policy and Service Delivery: A Rights-Based Approach”, propone una trasformazione significativa delle politiche di salute mentale verso un approccio basato sui diritti umani. Sebbene questa iniziativa rappresenti un passo avanti, è fondamentale esaminare criticamente le implicazioni di tali linee guida, soprattutto alla luce delle preoccupazioni espresse dai sopravvissuti alla psichiatria e dalle organizzazioni che li rappresentano.

L’OMS enfatizza la necessità di riformare le politiche di salute mentale per renderle più inclusive e rispettose dei diritti umani. Tuttavia, gruppi come il Center for the Human Rights of Users and Survivors of Psychiatry e ENUSP (European Network of (Ex-)Users and Survivors of Psychiatry), hanno sollevato obiezioni significative. Essi sostengono che, nonostante le buone intenzioni, le linee guida potrebbero perpetuare pratiche discriminatorie se non affrontano in modo deciso la necessità di riforme sistematiche che eliminino le coercizioni e promuovano una vera autodeterminazione degli individui.

Le linee guida riconoscono l’importanza dei determinanti sociali nella salute mentale, come povertà, disoccupazione e discriminazione. Tuttavia, c’è il rischio che l’integrazione di questi fattori nel discorso sulla salute mentale possa portare a una medicalizzazione di problemi sociali, trasferendo la responsabilità delle ingiustizie strutturali al sistema sanitario. Questo potrebbe rafforzare il potere degli “esperti” nel giudicare le reazioni individuali alle condizioni sociali, anziché promuovere cambiamenti strutturali necessari.

Sebbene l’OMS sottolinei l’importanza della partecipazione delle persone con esperienza vissuta nella definizione delle politiche, nella pratica questa inclusione è spesso simbolica. Come evidenziato da critici, le organizzazioni rappresentative dei sopravvissuti sono state talvolta escluse dai processi decisionali chiave, sollevando dubbi sulla genuinità dell’impegno verso una partecipazione significativa.

Il modello biomedico tradizionale, focalizzato sulla diagnosi e sul trattamento farmacologico, è stato criticato per la sua visione riduttiva della sofferenza psichica. Un approccio basato sui diritti richiede un cambiamento paradigmatico verso modelli che valorizzino le esperienze soggettive e promuovano soluzioni personalizzate e non coercitive.

Le nuove linee guida dell’OMS rappresentano un’opportunità per riformare le politiche di salute mentale in una direzione più rispettosa dei diritti umani. Tuttavia, è essenziale che queste riforme siano guidate dalle voci dei sopravvissuti alla psichiatria e che affrontino le strutture di potere esistenti che perpetuano pratiche coercitive e discriminatorie. Solo attraverso un impegno autentico verso la partecipazione e l’autodeterminazione si potrà realizzare una vera trasformazione del sistema di salute mentale.

Fonti

  1. Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
    • Guidance on Mental Health Policy and Service Delivery: A Rights-Based Approach
      ISBN: 9789240106819
      Link: https://www.who.int/publications/i/item/9789240106819
  2. Evento di lancio delle linee guida OMS – 25 marzo 2025
    Programma ufficiale dell’evento online (disponibile sul sito OMS e materiali correlati all’interno del documento guida)

📢 Voci critiche e dei sopravvissuti alla psichiatria

  1. MadinAmerica.com
    • Articolo: WHO and UN Advocate for Mental Health Reform Face Opposition from Rights Groups
      Link: https://www.madinamerica.com/2023/10/who-and-un-advocate-for-mental-health-reform-face-opposition
  2. ENUSP – European Network of (Ex-)Users and Survivors of Psychiatry
    • Interventi e osservazioni fornite durante la consultazione OMS
  3. CHRUSP – Center for the Human Rights of Users and Survivors of Psychiatry
    • Documenti e prese di posizione pubbliche sull’approccio basato sui diritti e il rischio di medicalizzazione dei problemi sociali
    • Link: http://www.chrusp.org

📄 Letteratura scientifica e documenti di approfondimento

  1. PubMed / National Library of Medicine
    • Articolo: A paradigm shift in psychiatry: From reductionism to contextual approaches
      Link: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33067749
  2. United Nations Human Rights Office
    • Rapporti della Relatrice Speciale sulla Salute e dell’Esperto Indipendente su Diritti e Disabilità
    • Riferimenti al documento “Mental health and human rights” (A/HRC/44/48)
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IL GIUBILEO DELLA SALUTE MENTALE, OVVERO LA CELEBRAZIONE DELL’APPROCCIO MEDICALIZZANTE ALLA “CURA DELL’ANIMA”

Diritti alla Follia · 12/04/2025 · Lascia un commento

Di L.E.

E ‘di recente attualità lo svolgimento del “Giubileo della salute mentale”, congresso in presenza, a cadenza cinquantennale, tenutosi a Roma il 3 aprile. Organizzato da Motore Sanità e promosso dai Tavoli della salute mentale del Ministero della Salute e della CEI (Conferenza Episcopale Italiana), è stato ospitato nell’aula magna della Pontificia Università Lateranense. 
Negli articoli di vari organi di stampa apparsi in prossimità dell’evento, viene definito “un’importante occasione di confronto tra esperti, rappresentanti delle istituzioni, stakeholder del settore e associazioni che ha permesso di analizzare le criticità emergenti e proporre soluzioni condivise volte a migliorare la risposta sanitaria e sociale alle sfide attuali”. Se già la presenza di stakeholder, (ovvero portatori di interessi nei confronti di un’attività o di un progetto economico) ad un congresso avente tema la Salute Mentale suscita più di una perplessità in chiunque sia dotato del minimo senso critico, la velina di resoconto pubblicata da diverse testate nazionali e locali, ha contribuito a stimolare una serie di considerazioni che ci accingiamo ad esporre.
Innanzitutto, dando un’occhiata al comunicato stampa integrale, da cui abbiamo tratto il passaggio succitato, appare evidente l’intenzione di dare particolare risalto ai numeri del fenomeno psichiatrico, ponendo l’accento sullo sconvolgente dato di 16 milioni di italiani affetti da disturbi di natura psichiatrica/psicologica, i quali starebbero imperversando tra la popolazione, in special modo tra gli adolescenti. Le problematicità tipiche dell’adolescenza e dell’ingresso nella vita adulta, comuni alle esistenze umane di ogni tempo e luogo, vengono qui definite” bisognose di cure”, in riferimento a manifestazioni psicopatologiche che affliggerebbero coloro individuati come candidati ideali al trattamento psichiatrico. A questo proposito riteniamo opportuno far notare come questa argomentazione sia perfettamente in linea con il progressivo aumento del numero dei disturbi mentali via via “coniati” dalla Società Americana di psichiatria e raccolti nel DSM, il manuale clinico universalmente impiegato per la diagnosi delle malattie psichiatriche: se la prima edizione del 1952 ne raccoglieva “soltanto” 106, nella quinta edizione sono più che triplicati, arrivando ad oltre 370. Nell’edizione del DSM V del 2013, vengono inoltre introdotte  nuove categorie di disturbi mentali che riguardano l’infanzia e l’adolescenza, come il disturbo del comportamento dirompente, il disturbo del controllo degli impulsi e della condotta, il disturbo oppositivo-provocatorio, il disturbo esplosivo intermittente, ed altri ancora, ottenendo il risultato di “psichiatrizzare” gradualmente qualsiasi aspetto umano anche nei giovanissimi, con la conseguente presa in carico e farmacologizzazione da parte dei Centri di neuropsichiatria infantile.  L’aumento delle categorie diagnostiche e l’ampliamento dei criteri di inclusione, e quindi del numero di diagnosi, hanno come ovvia conseguenza l’incremento delle prescrizioni di psicofarmaci, di cui secondo Eurispes nel 2023 hanno fatto uso 1 italiano su 5. Le affermazioni allarmistiche contenute nel comunicato stampa riferiscono l’inquietante circostanza secondo cui i disturbi mentali, stando all’ultimo World Mental Health Day Report pubblicato da Ipsos, starebbero prendendo il sopravvento, superando per incidenza le malattie cardiovascolari, e costituendo la preoccupazione sanitaria più urgente secondo il 45% degli intervistati in 31 Paesi.
Alla luce di quanto esposto finora apprendiamo con indignazione ma non con stupore che un congresso istituzionale patrocinato dal Ministero della Salute in cui il tema della Salute Mentale della popolazione dovrebbe essere trattato in maniera obiettiva, scientifica e disinteressata, quale il Giubileo della Salute Mentale, è stato realizzato con il contributo incondizionato di svariate aziende farmaceutiche (Angelini Pharma, Otsuka, Lundbeck, Rovi e Teva), come riportato esplicitamente nella locandina ufficiale di presentazione dell’evento. Non possiamo fare a meno di scorgere la convergenza di interessi, esplicitati attraverso intenti differenti ma complementari, tra chi pone la questione del disagio psichiatrico come fonte di allarme sociale e angoscia nei cittadini e coloro che hanno sponsorizzato il Giubileo della Salute Mentale, per i quali invece il trattamento del disturbo mentale rappresenta una ghiotta occasione di guadagno. E ‘paradossale che un convegno istituzionale il cui scopo dichiarato è discutere le strategie da mettere in campo per promuovere la salute mentale della cittadinanza, sia stato finanziato da soggetti che hanno tutto l’interesse a evitare il conseguimento di tale proposito e che mirano a far sì che il progetto da approntare sia soltanto uno: la farmacologizzazone della popolazione, e possibilmente di -tutta quanta– la popolazione. Qualcuno infatti ricorderà la celebre dichiarazione di Henry Gadsen, direttore generale di Merck & Co. alla rivista Fortune… “Il nostro sogno è produrre farmaci per le persone sane. Questo ci permetterebbe di vendere a chiunque”.
Che genere di conclusioni quindi possono emergere da un convegno sponsorizzato da aziende farmaceutiche, se non la consacrazione dell’approccio farmacologico come unica modalità per “sconfiggere” il tanto temibile disturbo mentale, vero o inventato che sia? Oltre agli adolescenti, un’altra categoria indicata come incline all’insorgenza di malattie mentali è quella degli anziani, che segnaliamo essere tra le vittime designate della crescente medicalizzazione della società e della istituzionalizzazione dei cosiddetti “fragili”. E’ lecito chiedersi quali siano i provvedimenti che l’”intellighenzia” della Salute mentale, riunitasi per celebrarne il Giubileo, propone di attuare per migliorare la condizione dei concittadini in età senile: attualmente quello che va per la maggiore consiste nell’appioppare a molti di essi, colpiti dall’inevitabile declino fisico e/o cognitivo, la famigerata amministrazione di sostegno, che in molti casi comporta l’internamento forzato nelle case di cura e l’allontanamento dai propri affetti, i quali a rigor di logica dovrebbero invece essere ritenuti più che mai necessari a coloro che si insiste a definire “vulnerabili”. (si veda nota 1 a piè di pagina sulla proposta di riforma dell’AdS)
Proseguendo nella lettura ci si imbatte nell’affermazione secondo cui “ le malattie mentali prospettano una ingiusta ridotta attesa di vita” a coloro che ne sono affetti:  ciò è senz’altro plausibile, ma sarebbe opportuno menzionare il fatto che spesso tale riduzione è imputabile all’uso prolungato di psicofarmaci più che alle conseguenze della patologia psichiatrica in sé, come dimostra lo psichiatra americano Peter Breggin nel suo libro “La sospensione degli psicofarmaci”, in cui si citano numerosi dati accumulati in anni di ricerca.
La cinica equiparazione della malattia mentale all’opportunità di guadagno (persa o conquistata) emerge successivamente in un curioso paragrafo, nel quale si riporta che “ogni anno, la depressione e l’ansia rubano al mondo 12 miliardi di giornate lavorative, con un costo di 1 trilione di dollari. In Italia, questa crisi vale il 4% del PIL”. Questo passaggio suona come un tentativo di orientamento dell’opinione verso la positiva necessità e urgenza di “fronteggiare” il disagio psichiatrico da parte delle istituzioni politiche e sanitarie, facendo leva sul potenziale danno da esso causato al sistema economico e alle casse del Paese, e suggerendo come la questione della Salute Mentale e gli interventi da mettere in campo da parte degli enti competenti siano desiderabili per il conseguimento dell’interesse collettivo, per il bene del Paese.
Una retorica consolidata e attualmente impiegata per giustificare trattamenti sanitari obbligatori (psichiatrici e non) o di fatto imposti surrettiziamente, che nella fattispecie, attraverso la particolare scelta di parole, pare quasi ispirare il biasimo nei confronti dei sofferenti psichici, responsabili di “rubare -addirittura-al mondo” dei sedicenti “ sani” per colpa del loro seccante dolore esistenziale.
In generale, la tesi sostenuta in vari passaggi dell’articolo è quella secondo cui non si starebbe facendo abbastanza per arginare l’emergenza psichiatrica in corso, poiché la risposta da parte delle istituzioni e della rete dei Servizi psichiatrici risulterebbe insufficiente, e, come ciò se non bastasse, il 3,5%  (ben 2 milioni) di Italiani affetti da malesseri psichiatrici sarebbe restio ad affidarsi alle cure mediche.
Da tempo la nostra  Associazione si è fatta carico di segnalare  che in realtà le ragioni che spingono a tenersi alla larga dai Servizi psichiatrici sono da ricercare esattamente in quei capisaldi ideologici che i consessi come il Giubileo della salute mentale (e l’establishment alle loro spalle) si ostinano a non mettere in discussione: l’approccio riservato alla sofferenza umana da parte del corrente sistema medico-psichiatrico, ossia l’approccio organicista, che nella pratica clinica si traduce con la somministrazione a tempo indeterminato di debilitanti psicofarmaci, che non curano la vera causa della sofferenza bensì ne sopprimono i sintomi; l’impostazione liberticida che connota l’ordinamento giuridico per quanto concerne la normativa sul Trattamento sanitario obbligatorio (nota 1), che col pretesto di salvaguardare la salute , di fatto consegna l’autorità di rinchiudere gli individui  in nosocomio psichiatrico sulla base di un parere soggettivo, senza che questi abbiano la possibilità di difendersi; la formazione culturale/intellettuale dei professionisti del settore, per i quali la sofferenza emotiva e la non omologazione rispetto ai dettami sociali e all’ordine costituito sono un “difetto di fabbrica” da correggere attraverso l’annichilimento e la coercizione. Queste nostre istanze tuttavia, sembrano purtroppo destinate a scontrarsi contro il muro di gomma delle istituzioni politiche, compattamente schierate nella difesa a oltranza dell’attuale sistema psichiatrico e dell’ordinamento giuridico che concede ad esso alcuni micidiali strumenti di potere e controllo, come il Trattamento Sanitario Obbligatorio e l’internamento degli individui definiti socialmente pericolosi nelle R.E.M.S., manicomi criminali di una volta. Anzi, si profilano all’orizzonte scenari perfino più drammatici di quello attuale, prospettati dalla discussione in Senato nei prossimi giorni del disegno di legge avanzato dalla destra (DDL Zaffini), una revisione fortemente conservatrice della normativa sul T.S.O., contrapposto al disegno di legge presentato dal centrosinistra che comunque non propone alcuna modifica significativa dei costrutti illiberali su cui è impiantata la legge attuale: ennesima riprova della resistenza manifestata dai rappresentanti politici del nostro Paese nei confronti della messa in discussione del potere psichiatrico.

1 Esortiamo chiunque abbia a cuore le nostre battaglie a firmare le due proposte di riforma sostenute da Diritti alla Follia: quella per la riforma del Trattamento sanitario obbligatorio e quella per la riforma dell’amministrazione di sostegno e abolizione dell’interdizione e dell’inabilitazione.  E’ possibile firmare online entrambe qui: https://dirittiallafollia.it/scegli-quale-proposta-di-riforma-firmare-online/

A Roma il Giubileo della salute mentale. “Soluzioni condivise per le nuove sfide”

https://www.motoresanita.it/wp-content/uploads/2025/03/PROGRAMMA-Giubileo-della-Salute-Mentale-3-Aprile-2025.pdf

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