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Diritti alla follia

Associazione impegnata sul fronte della tutela e della promozione dei diritti fondamentali delle persone in ambito psichiatrico e giuridico.

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diritti alla follia

Messico all’avanguardia, Italia ferma al passato.Il diritto di decidere senza sostituti: la procedura per la nomina straordinaria di supporti nel procedimento civile in Messico.L’Italia è pronta a fare lo stesso?

Diritti alla Follia · 03/04/2025 · Lascia un commento

Pubblicato il 24 febbraio 2025 in: Revista del Colegio de Notarios de la Ciudad de México

Autori: Cristián Mendoza, Carlos Ríos Espinosa, Ernesto Rosas Barrientos

Il Messico ha recentemente adottato un nuovo modello di capacità giuridica attraverso il Codice Nazionale di Procedura Civile e Familiare (CNPCF), pubblicato il 7 giugno 2023. Questa riforma rappresenta un’importante evoluzione nel riconoscimento della capacità giuridica di ogni individuo, superando i tradizionali modelli di decisione sostitutiva.

Storicamente, il diritto ha spesso escluso alcune categorie di persone dalla piena partecipazione agli atti giuridici, basandosi su criteri di capacità mentale. Tuttavia, la Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità (CRPD) e la Convenzione Interamericana sui Diritti Umani degli Anziani hanno sancito il diritto alla capacità giuridica indipendentemente da eventuali limitazioni cognitive o fisiche. Il CNPCF si allinea a questi principi, affermando che la capacità giuridica è un diritto inalienabile di ogni persona adulta.

Uno degli aspetti più innovativi del CNPCF è la previsione della designazione straordinaria dei supporti per coloro che si trovano nell’impossibilità di esprimere la propria volontà. Questa figura giuridica non sostituisce la persona interessata, ma la assiste nella presa di decisioni in situazioni specifiche.

La nomina di un supporto straordinario è consentita solo se:

  • La persona non può comunicare la propria volontà con alcun mezzo.
  • Esiste un rischio concreto per i suoi diritti, beni o integrità personale.
  • Sono stati compiuti sforzi significativi per supportare la sua espressione di volontà, senza successo.

Il CNPCF impone che ogni decisione presa con il supporto straordinario sia guidata dalla migliore interpretazione possibile della volontà della persona interessata. Ciò significa considerare:

  • La sua storia di vita, valori e preferenze
  • Eventuali manifestazioni precedenti della sua volontà

Questo approccio supera la tradizionale logica del “miglior interesse”, che spesso portava a decisioni paternalistiche, e privilegia invece l’autonomia della persona.

Il supporto straordinario può essere nominato per questioni patrimoniali o sanitarie, ma non può intervenire in decisioni strettamente personali, come:

  • Contrarre matrimonio o divorzio
  • Redigere un testamento

Il tribunale deve selezionare la persona più adatta a svolgere il ruolo di supporto, tenendo conto:

  • Delle preferenze della persona interessata
  • Del grado di parentela o della relazione di fiducia con la persona
  • Della disponibilità e idoneità del candidato

Se non vi sono persone idonee, il tribunale può rivolgersi a organizzazioni specializzate

L’adozione del CNPCF rappresenta un significativo avanzamento nella protezione dei diritti umani, riconoscendo il diritto universale alla capacità giuridica. Tuttavia, la piena attuazione di questi principi richiederà un adeguamento delle normative statali e un cambiamento culturale nell’approccio alla disabilità e alla capacità decisionale. Il futuro del diritto civile messicano si sta muovendo verso un modello più inclusivo, basato sul rispetto dell’autonomia individuale e sull’interdipendenza umana.

Leggi l’articolo in lingua originale a questo link

https://www.hrw.org/news/2025/02/24/towards-expansion-right-decide-and-recognition-human-interdependence

Leggi la traduzione completa dell’articolo nel file allegato

Verso l’espansione del diritto di decidere e il riconoscimento dell’interdipendenza umana. La procedura per la nomina straordinaria di supporti nel procedimento civile in MessicoDownload

Diritti alla Follia ti invita a sostenere due proposte di legge di iniziativa popolare che mettono i diretti interessati al centro delle decisioni.

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🔹 ECCO LE PROPOSTE DI LEGGE:

📜 Abolizione dell’Interdizione e dell’Inabilitazione e Riforma dell’Amministrazione di Sostegno

🚫 Superiamo strumenti obsoleti e discriminanti per garantire diritti, trasparenza e protagonismo a chi vive queste realtà.

📜 Riforma del Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO)

📜 Adeguamento alla Costituzione e agli obblighi internazionali per garantire il rispetto dei diritti fondamentali, la difesa effettiva e un controllo giurisdizionale rigoroso e sostanziale.

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ABUSI NEI REPARTI PSICHIATRICI: PERCHÉ SERVONO LE TELECAMERE NEGLI SPDC E UNA RIFORMA DEL TSO

Diritti alla Follia · 24/03/2025 · Lascia un commento

L’orribile caso di Padova, in cui un operatore socio-sanitario è stato condannato per aver abusato di una minorenne ricoverata in un reparto psichiatrico, è solo l’ennesima dimostrazione di quanto sia urgente garantire maggiore sicurezza e trasparenza nei reparti psichiatrici. Secondo le informazioni disponibili, l’OSS ha continuato a lavorare nella stessa struttura anche dopo l’emersione delle accuse, venendo semplicemente trasferito in un altro reparto*.

Questa vicenda non è un caso isolato. Gli abusi nei reparti psichiatrici esistono, ma spesso restano nell’ombra. Perché? Perché chi li subisce non viene creduto. Le donne, in particolare, devono affrontare un doppio ostacolo: da un lato, il radicato scetticismo sociale che tende a minimizzare o mettere in dubbio le denunce di violenza; dall’altro, se hanno una diagnosi psichiatrica, il pregiudizio che le vede come inattendibili, confuse, incapaci di distinguere la realtà dalla fantasia. Così, anche quando trovano la forza di denunciare violenze, soprusi o trattamenti disumani, le loro parole vengono troppo spesso ignorate o screditate.

Nel caso di Padova, la verità è emersa solo grazie alla madre della vittima, che ha dato credito ai racconti della figlia e ha avuto il coraggio di denunciare. Ma quante altre storie restano sepolte nel silenzio? Quanti abusi non vengono mai puniti perché le vittime non vengono credute?

L’associazione ‘Diritti alla Follia’ da tempo denuncia le condizioni in cui versano gli SPDC e propone una riforma concreta per la tutela degli utenti psichiatrici. Uno dei punti cardine della nostra proposta è l’installazione di telecamere di sicurezza nei reparti psichiatrici, nel rispetto della privacy ma con la garanzia di un controllo esterno indipendente.

Molte persone da noi intervistate sul tema delle telecamere – iscritti all’associazione, simpatizzanti, utenti, ex utenti e sopravvissuti alla psichiatria – si sono espresse favorevolmente. Secondo la stragrande maggioranza, l’ago della bilancia pende a favore del diritto alla sicurezza piuttosto che del diritto alla privacy.

Troppi utenti psichiatrici hanno vissuto esperienze di violenza e soprusi nei reparti, e la possibilità di avere un controllo visivo rappresenta per loro una garanzia di tutela, non una minaccia. La paura di essere esposti a trattamenti degradanti o coercitivi senza possibilità di dimostrare quanto accaduto pesa molto più del timore di essere ripresi da un sistema di videosorveglianza regolato e accessibile solo in caso di necessità giudiziaria o difensiva.

Le telecamere nei reparti psichiatrici:
✔ Fungerebbero da deterrente contro gli abusi, riducendo il rischio di violenze e maltrattamenti
✔ Garantirebbero la trasparenza, permettendo di verificare eventuali segnalazioni di abusi o comportamenti scorretti
✔ Proteggerebbero sia gli utenti che gli operatori, evitando false accuse e ricostruendo oggettivamente gli eventi in caso di segnalazioni
✔ Darebbero voce a chi oggi non viene creduto, offrendo prove concrete di ciò che accade nei reparti.

Inoltre, la proposta di legge di iniziativa popolare dell’associazione ‘Diritti alla Follia’prevede l’installazione di telecamere non solo per i trattamenti sanitari obbligatori (TSO), ma anche per le degenze volontarie, che spesso di volontario hanno poco o nulla. Questo perché, in molti casi, le degenze cosiddette volontarie sono frutto di pressioni o mancanza di alternative, rendendo gli utenti altrettanto vulnerabili agli abusi.

L’installazione delle telecamere e la riforma del TSO non risolverebbero da sole tutti i problemi degli SPDC, ma sarebbero primi, fondamentali passi verso un sistema maggiormente garantista, più trasparente e più rispettoso dei diritti umani.

Ecco i punti della proposta di riforma fondamentali per prevenire gli abusi nei ricoveri ospedalieri in ambito psichiatrico:

1. Maggiori garanzie procedurali e tutele legali per le persone direttamente coinvolte

  • Nomina obbligatoria di un difensore d’ufficio o di fiducia, con indicazione del suo nome e contatti già nell’ordinanza sindacale. Attualmente, la normativa non prevede nemmeno l’obbligo di notifica al diretto interessato, lasciandolo privo di qualsiasi strumento di tutela immediata
    • Informazione chiara e accessibile sui propri diritti: la persona deve essere informata in un linguaggio comprensibile sui mezzi per tutelarsi e impugnare il provvedimento
    • Possibilità di ricorrere senza formalità contro il TSO e successiva convalida, con il supporto del difensore
    • Obbligo per il Giudice Tutelare di esaminare eventuali memorie difensive e rispondere entro 24 ore

2. Limitazione del potere discrezionale e maggiori controlli sul TSO

• Necessità di due certificazioni psichiatriche indipendenti per disporre il TSO, entrambe redatte dopo una visita formale
• Divieto assoluto di somministrare farmaci coattivamente prima della notifica dell’ordinanza sindacale
• Limite massimo di 96 ore rinnovabili solo tre volte per il TSO
• Possibilità per familiari, difensori e associazioni di tutela di accedere al reparto senza restrizioni su richiesta del diretto interessato
• Accesso garantito agli atti per il diretto interessato, il difensore e le associazioni di tutela

3. Stop a violenze e abusi durante la degenza

• Divieto assoluto di contenzione meccanica e farmacologica
• Obbligo di video-sorveglianza in tutte le degenze psichiatriche, con conservazione dei filmati per 6 mesi, visionabili solo su richiesta dell’autorità giudiziaria o in ambito difensivo
• Strutture psichiatriche aperte, con condizioni analoghe agli altri reparti ospedalieri
• Diritto inalienabile alla comunicazione: la persona deve poter ricevere visite e usare mezzi di comunicazione (telefono, internet) senza limitazioni arbitrarie

4. Trasparenza e monitoraggio pubblico

• Ogni TSO viene notificato immediatamente al Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale e ristrette
• Obbligo per il Garante di pubblicare annualmente un’anagrafe dei reparti psichiatrici e i dati statistici sui TSO

A chi ci accusa di voler trasformare i reparti psichiatrici in carceri rispondiamo con chiarezza: sono proprio i diretti interessati a chiederlo!

Le persone che hanno vissuto il ricovero coatto – utenti, ex utenti, sopravvissuti alla psichiatria – ci dicono che la vera prigione è già il reparto psichiatrico così com’è oggi: un luogo chiuso, con porte bloccate, guardie giurate all’ingresso e nessuna possibilità di difendersi da abusi e soprusi.

 La videosorveglianza non trasforma il reparto in un carcere, lo rende più sicuro.
Perché mai dovrebbero essere vietate proprio nei reparti dove si verificano più facilmente contenzioni, abusi e trattamenti degradanti?

 Il punto centrale è: chi ha paura della trasparenza? Se un reparto è davvero un luogo di “cura”, perché temere che ciò che accade al suo interno venga documentato?

Il vero problema non è la loro presenza, ma l’idea che un luogo di “cura” possa essere gestito come una prigione senza alcun controllo esterno.

Sostieni la riforma del TSO di ‘Diritti alla Follia’

Per approfondire la proposta di legge di iniziativa popolare sulla riforma del Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) e conoscere tutti i dettagli, puoi consultare il testo e la relazione illustrativa al seguente link:

Riforma della procedura di applicazione del Trattamento Sanitario Obbligatorio

👉 Firma la proposta di legge!
La raccolta firme è attiva e puoi sottoscriverla online tramite la piattaforma ufficiale del Ministero della Giustizia. Tutte le informazioni su come partecipare sono disponibili qui: https://bit.ly/4gadjYU

*https://ossnews24.it/oss-accusato-di-violenza-sessuale-su-paziente-psichiatrica-minorenne-a-padova-chiesta-condanna-a-6-anni-e-8-mesi/139280

PADOVA | ABUSI ALLA PAZIENTE PSICHIATRICA MINORENNE: OSS CONDANNATO A SETTE ANNI
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COMUNICATO STAMPA DELL’ASSOCIAZIONE ‘DIRITTI ALLA FOLLIA’: Giustizia tradita: Lo Stato punisce chi difende la libertà e protegge un sistema criminale

Diritti alla Follia · 20/03/2025 · Lascia un commento

Purtroppo è giunta oggi, 20 marzo 2025, la notizia del rigetto, da parte della Corte di Cassazione, del ricorso di Fabio Degli Angeli e Gabriella Cassano avverso la sentenza della Corte di Appello di Lecce che li aveva condannati (con altri due coimputati).

Secondo i Giudici pugliesi (ora anche secondo la Corte di Cassazione) Fabio e Gabriella sono responsabili di sequestro di persona, di abbandono di incapace, di circonvenzione di incapace, di sottrazione di incapace. Quattro reati commessi – secondo l’accusa – “ai danni” di Marta Garofalo Spagnolo: una ragazza morta a trent’ anni (oltre tre anni dopo i fatti di causa e l'”allontanamento” di Fabio e Gabriella) in una struttura psichiatrica dopo oltre dieci anni di ricoveri coatti effettuati grazie all’amministrazione di sostegno cui era sottoposta. Questa sentenza, ingiusta, punisce Fabio e Gabriella per avere cercato di aiutare Marta a vivere la vita che desiderava vivere, a sottrarsi dalla reclusione forzata che viveva già da anni, a liberarsi dalla morsa di un “sistema” criminale che – raccontando a sè stesso di agire “per proteggere” le persone con disabilità – stritola gli individui, ha stritolato Marta, sta stritolando Fabio e Gabriella, per i quali si aprono drammaticamente le porte del carcere.

Fabio e Gabriella sono innocenti. Marta Garofalo Spagnolo voleva sottrarsi al suo destino di reclusione ed ha chiesto loro aiuto. Gli alti valori – di cui si parla ogni giorno senza viverli mai – della fratellanza e dell’umana solidarietà hanno loro imposto di non restare indifferenti a tale richiesta di aiuto. Per questo vengono condannati dai Tribunali di una Repubblica delinquente, che continua a tenere sequestrate migliaia di persone con disabilità psicosociale nonostante sia teoricamente obbligata a rispettare la Convenzione delle Nazioni Unite per i Diritti delle Persone con Disabilità (CRPD) per la quale “nessuno può essere privato della libertà personale in ragione della propria condizione di disabilità “.

Questa Repubblica colpevole infierisce oggi contro gli innocenti Fabio e Gabriella: un uomo ed una donna che hanno dimostrato che “un altro mondo è possibile, che un’altra umanità è possibile”, e che oggi pagano per questo. 

Li invitiamo a “non mollare”, a continuare in un impegno diretto a riformare questo sistema criminale: noi ci siamo, ‘Diritti alla Follia’ c’è: ci auguriamo che abbiano la forza e la determinazione per continuare ad esserci anche loro.

Per maggiori informazioni sulla vicenda di Marta Garofalo, vi segnaliamo i seguenti link:

  • https://dirittiallafollia.it/2024/07/01/il-blocco-dellillegalita-istituzionale-italiana-si-manifesta-nella-drammatica-vicenda-di-marta-garofalo-spagnolo/
  • https://mad-in-italy.com/tag/marta-garofalo-spagnolo/
  • https://informareunh.it/lamministrazione-di-sostegno-e-leffetto-terra-bruciata/

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  • Riforma del Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO)
    Adeguamento alla Costituzione  e agli obblighi internazionali  per garantire il rispetto dei diritti fondamentali, la difesa effettiva e un controllo giurisdizionale rigoroso e sostanziale

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Un approfondimento sui reparti psichiatrici: cosa sono e cosa realmente accade al loro interno.

Diritti alla Follia · 02/03/2025 · Lascia un commento

*Di Federico Valenti

I Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC) sono strutture ospedaliere specializzate nel trattamento di pazienti affetti da disturbi psichiatrici in fase acuta. All’interno degli SPDC vengono effettuati sia trattamenti sanitari volontari che obbligatori, come previsto dalla legge italiana. Questi servizi fanno parte del Dipartimento di Salute Mentale e offrono assistenza continua 24 ore su 24, garantendo un ambiente terapeutico intensivo per la gestione delle emergenze psichiatriche. Oltre al ricovero, gli SPDC forniscono consulenza psichiatrica ad altri reparti ospedalieri e collaborano strettamente con i servizi territoriali per assicurare la continuità delle cure dopo la dimissione del paziente.

Tuttavia, in questi reparti vengono spesso ricoverate anche persone che non presentano disturbi definiti come tali. Pur essendo strutture temporanee, il paziente può rimanervi per un periodo indefinito, teoricamente necessario alla stabilizzazione del suo stato psichico, prima di essere indirizzato verso percorsi di cura a lungo termine. Nei reparti psichiatrici (utilizzerò questo termine, in quanto comunemente usato da pazienti e operatori) operano generalmente uno psichiatra, che dovrebbe seguire i pazienti, e personale infermieristico.

Un paziente può accedere a un reparto psichiatrico sia in modo volontario, attraverso un Trattamento Sanitario Volontario (TSV), sia contro la propria volontà, tramite un Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO), di cui ho già parlato in un precedente articolo nel nostro blog Diritti alla Follia.

L’obiettivo dovrebbe essere stabilizzare il paziente e garantirgli un adeguato percorso di cura. Tuttavia, la realtà di ciò che accade all’interno di questi reparti è spesso molto diversa da quanto ci si aspetterebbe.

La fatiscenza del reparto

Pur essendo spesso ospitati all’interno di ospedali moderni, molti reparti SPDC risultano fatiscenti. Le docce e i bagni sono poco curati, i muri spesso scrostati, le aree fumatori piene di scritte e con finestre sbarrate che limitano il ricambio d’aria, rendendo l’ambiente soffocante. Per un paziente, trovarsi in un luogo del genere non può che aggravare la sua condizione, specialmente se soffre di depressione, poiché si tratta di ambienti sporchi, trascurati, chiusi e poco accoglienti.

La poca informazione ai pazienti e la somministrazione indiscriminata di farmaci

Al momento del ricovero, i pazienti vengono subito classificati come soggetti agitati e affetti da disturbi gravi. Poiché in questi reparti sono ricoverati molti pazienti, i farmaci vengono spesso somministrati in modo indiscriminato, senza un’adeguata valutazione medica. Il carrello dei farmaci passa e i pazienti assumono benzodiazepine, neurolettici e altri psicofarmaci, senza che lo psichiatra di riferimento abbia effettuato un’adeguata visita e prescritto una terapia personalizzata. Come accade nelle carceri (tema che ho affrontato in un altro articolo), gli psicofarmaci vengono utilizzati più per controllare e sedare i pazienti che per curarli realmente.

L’assenza di figure di supporto

Nei reparti psichiatrici, il paziente può rimanere anche per periodi di tempo indeterminati, poiché non esiste una normativa che stabilisca un limite massimo di permanenza. Ho conosciuto persone che sono rimaste ricoverate per cinque mesi. Un periodo così lungo, trascorso in un ambiente dove gli psicofarmaci vengono somministrati in modo massiccio, non favorisce la guarigione, ma rende il paziente sedato e apatico.

Il problema principale è l’assenza di figure di supporto: nei reparti non è possibile interagire con psicologi o educatori, non sono previste attività di gruppo né gruppi di supporto. Il paziente può parlare solo con gli altri pazienti e con gli infermieri, ma raramente con lo psichiatra. Certamente, non tutti i reparti SPDC in Italia operano allo stesso modo, ma, sulla base di numerose testimonianze dirette e indirette, questa realtà risulta purtroppo essere assai comune.

Il contenimento forzato

Nei reparti psichiatrici è prassi comune l’uso delle fasce di contenzione. Spesso i pazienti vengono legati per motivi banali e lasciati immobilizzati a letto per ore, o addirittura per giorni. Purtroppo, come dimostra il caso Mastrogiovanni, queste pratiche hanno, in diversi casi, causato la morte del paziente. In Italia, su 318 reparti SPDC, solo 19 non utilizzano la contenzione, un dato che evidenzia la gravità della situazione.

Gli abusi nei reparti

Gli abusi nei reparti SPDC si manifestano in diverse forme: dall’uso sistematico della contenzione meccanica ai maltrattamenti verbali da parte degli operatori, fino alla somministrazione eccessiva di tranquillanti, utilizzati più per sedare i pazienti che per avviare un reale percorso di cura. Troppo spesso, infatti, i pazienti vengono trattati come nei vecchi manicomi, rievocando le pratiche in uso prima della legge Basaglia, che ne sancì l’abolizione.

Non mancano nemmeno i casi di cronaca: a Foggia, ad esempio, gli abusi in un reparto psichiatrico hanno portato ad indagare 15 persone; a Roma, una giovane donna di 25 anni ha denunciato di essere stata violentata nel reparto psichiatrico dell’ospedale Sant’Andrea.

In conclusione, possiamo affermare che, come nel caso dei TSO, dell’amministrazione di sostegno o delle carceri, la realtà dei reparti psichiatrici è spesso ben diversa da quella che dovrebbe essere. Gli SPDC, che dovrebbero essere luoghi di cura, si trasformano troppo spesso in ambienti di abuso e contenimento.

*Federico Valenti (Milano, 30 maggio 1999) studia giornalismo presso la scuola di Panorama e scrive per un magazine. Da sempre appassionato di informazione, storia, politica ed esteri, dedica il suo tempo all’analisi e alla divulgazione.

È attivamente impegnato nelle battaglie sociali, in particolare come membro dell’associazione Diritti alla Follia con cui collabora come editor e co-conduttore della rubrica “Rassegna Stampa”, contribuendo alla diffusione di notizie e approfondimenti.

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L’ AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO:USI ED ABUSI. PROCEDURE CORRETTE VS REALTÁ

Diritti alla Follia · 22/02/2025 · Lascia un commento

*Di Federico Valenti

L’amministrazione di sostegno è un istituto previsto dal codice civile italiano nato per tutelare le persone che non sono in grado di provvedere alla gestione dei propri interessi. Questo strumento permette o dovrebbe permettere (come vedremo in seguito la realtà è ben diversa) di supportare la persona lasciandogli però una certa autonomia a differenza dell’interdizione. L’intervento del giudice tutelare dovrebbe infatti garantire equilibrio tra tutela e rispetto dell’autodeterminazione del beneficiario. 

La definizione normativa  

L‘articolo 404 del Codice Civile prevede che l’amministrazione di sostegno sia una misura di protezione rivolta a coloro che, in tutto o in parte, temporaneamente o permanentemente, si trovano nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi a causa di un’infermità o di una menomazione fisica o psichica. La nomina di un amministratore di sostegno, finalizzata alla tutela della persona e del suo patrimonio, è disposta dal giudice tutelare. Il procedimento può essere avviato su istanza dello stesso beneficiario, dei suoi familiari o dei responsabili dei servizi sanitari e sociali, i quali possono segnalare la necessità di protezione al giudice tutelare.

La nomina 

L’articolo 405 del Codice Civile stabilisce che il giudice tutelare, ricevuto il ricorso, provvede alla nomina dell’amministratore di sostegno con decreto motivato, adottato entro sessanta giorni dalla presentazione della richiesta. Il decreto è immediatamente esecutivo. In caso di necessità e urgenza, il giudice può nominare un amministratore di sostegno provvisorio. La decisione deve contenere l’indicazione delle generalità del beneficiario e dell’amministratore, la durata dell’incarico, che può essere determinata o indeterminata, e l’elenco specifico degli atti che l’amministratore è autorizzato a compiere in nome e per conto del beneficiario. Il provvedimento deve inoltre definire i limiti di spesa, le modalità di gestione del patrimonio e l’obbligo di rendicontazione periodica al giudice tutelare.

Il procedimento  

L’articolo 407 del Codice Civile stabilisce che il ricorso per la nomina dell’amministratore di sostegno deve contenere le generalità del beneficiario, la sua dimora abituale, le ragioni su cui si basa la richiesta e l’indicazione del coniuge, della parte dell’unione civile, del convivente di fatto, dei parenti entro il quarto grado e degli affini entro il secondo grado. Il giudice tutelare è tenuto ad ascoltare personalmente il beneficiario, salvo che ciò risulti impossibile a causa di impedimenti oggettivi. Nel procedimento, il giudice valuta i bisogni e le richieste del beneficiario, garantendo un equilibrio tra protezione e autonomia, e vigila sulla corretta applicazione delle misure di tutela.

I criteri di scelta 

L’articolo 408 del Codice Civile stabilisce i criteri per la scelta dell’amministratore di sostegno. Il giudice deve tener conto esclusivamente della cura e degli interessi del beneficiario. Quest’ultimo può designare anticipatamente il proprio amministratore con un atto pubblico o una scrittura privata autenticata. In assenza di una designazione, il giudice preferisce, ove possibile, il coniuge non separato legalmente, la parte dell’unione civile, il convivente di fatto, i genitori, i figli, i fratelli o altri parenti entro il quarto grado. Non possono essere nominati amministratori di sostegno gli operatori di servizi pubblici o privati che abbiano in cura o assistano il beneficiario, salvo che si tratti di familiari e il giudice lo ritenga opportuno. In ogni caso, il giudice può nominare una persona idonea se ciò risponde meglio agli interessi del beneficiario.

Gli effetti dell’amministrazione  

Secondo l’articolo 409 del Codice Civile, il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono l’intervento esclusivo o l’assistenza dell’amministratore di sostegno. In particolare, il beneficiario può compiere autonomamente gli atti necessari per le esigenze della vita quotidiana. L’amministratore di sostegno interviene solo negli atti per i quali è stato specificamente autorizzato dal giudice, secondo quanto stabilito nel decreto di nomina.

I doveri dell’amministratore di sostegno 

Secondo l’articolo 410 del Codice Civile, l’amministratore di sostegno deve operare nel rispetto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario, agendo nell’interesse esclusivo di quest’ultimo. È tenuto a informare il beneficiario sugli atti che intende compiere e deve consultare il giudice tutelare in caso di disaccordo. Se l’amministratore di sostegno agisce in modo negligente o dannoso, il giudice può revocarlo su segnalazione del beneficiario, dei familiari, del pubblico ministero o di altri soggetti interessati.

L’articolo 411 stabilisce che la durata dell’incarico non può superare i 10 anni, salvo eccezioni per il coniuge, il convivente stabile o un parente stretto, per i quali può essere prevista una durata superiore.

Gli atti annullabili 

Gli articoli 412 e 413 del Codice Civile disciplinano l’annullamento degli atti compiuti dall’amministratore di sostegno oltre i poteri concessi. L’articolo 412 stabilisce che gli atti compiuti dal beneficiario in violazione delle limitazioni stabilite nel decreto di nomina possono essere annullati su richiesta dell’amministratore di sostegno, del pubblico ministero o di chiunque vi abbia interesse.

 La revoca dell’amministratore di sostegno 

 L’articolo 413 del Codice Civile prevede che la revoca dell’amministrazione di sostegno possa essere richiesta dal beneficiario, dall’amministratore di sostegno, dal pubblico ministero o dai familiari indicati nell’articolo 406.

Il giudice tutelare provvede con decreto motivato, dopo aver svolto le necessarie verifiche.

L’amministrazione di sostegno cessa quando si dimostra inadeguata alla tutela del beneficiario. In tal caso, se le condizioni del beneficiario lo richiedono, il giudice può disporre l’apertura di un procedimento di interdizione o inabilitazione.

La Riforma Cartabia ha apportato significative modifiche alla disciplina dell’amministrazione di sostegno nel codice di procedura civile italiano. In particolare, ha introdotto il Titolo IV-bis nel Libro Secondo, intitolato “Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie”, all’interno del quale il Capo III, Sezione III, è dedicato ai “Procedimenti di interdizione, di inabilitazione e di nomina di amministratore di sostegno”. L’articolo 473-bis.58 stabilisce che ai procedimenti in materia di amministrazione di sostegno si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni della presente sezione. Inoltre, la riforma prevede che i decreti del giudice tutelare siano reclamabili al tribunale, mentre quelli emessi dal tribunale in composizione collegiale possono essere impugnati in Cassazione.

Le prassi

La procedura descritta sopra rappresenta la corretta assegnazione dell’amministratore di sostegno, ma spesso la realtà è ben diversa dalla legge. La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (CRPD) ha evidenziato le criticità dei sistemi di protezione giuridica, tra cui l’uso eccessivo delle istituzioni, la scarsa qualità della vita dei beneficiari e la presenza di pratiche illegali. L’amministrazione dei servizi di supporto si rivela spesso inefficace, con professionisti che tendono a privilegiare i propri interessi anziché quelli dei beneficiari.

Le rovinose e abusive necessità e facilità dell’implementazione dell’amministrazione di sostegno

Questa ideologia di protezione delle persone fragili ha portato a una pratica inefficiente e propagandata che spesso complica i problemi anziché risolverli. L’amministrazione di sostegno viene adottata senza considerare soluzioni familiari meno invasive e i suoi effetti reali sono spesso sconosciuti. Le persone coinvolte non sono quasi mai consapevoli dei suoi limiti, dei processi burocratici e dei costi. Una volta avviata, è difficile da interrompere, soprattutto per anziani o persone con disabilità psicosociali. Il processo può essere semplificato per consentire comunicazioni informali, sollevando preoccupazioni sulla supervisione e sull’efficacia. L’istituto, nella sua forma attuale, viola i diritti fondamentali di chi ha una limitata autonomia. Le regole di applicazione e funzionamento sono sistematicamente trascurate e violate dai giudici tutelari italiani, nonostante le raccomandazioni dell’ONU.

I principali problemi sono:

  1. Aumento delle nomine di amministratori di sostegno senza l’audizione dei beneficiari;
  2. Sottovalutazione dell’impatto emotivo e psicologico da parte dei giudici tutelari;
  3. Effetti devastanti sull’individualità e la dignità dei soggetti coinvolti;
  4. Critica mancanza di intelligenza emotiva nel sistema;
  5. Necessario affiancamento di esperti in psicologia ai giudici;
  6. Nomina di amministratori di sostegno a figure non adeguate al contesto attuale.

La preferenza del beneficiario deve essere rispettata anche nei casi di conflitto familiare o con i servizi socio-sanitari. Il ruolo del proponente nella richiesta di amministrazione di sostegno deve fermarsi alla presentazione del ricorso giudiziale, senza diritto di indicare un fiduciario. Quest’ultimo deve essere una persona di estrema fiducia per il diretto interessato e non può essere scelto dai familiari o dai servizi sociali in presenza di un conflitto. Il giudice tutelare non deve assumere il ruolo di mediatore familiare, poiché la limitazione della capacità di agire deve sempre rispettare la volontà del singolo.

La preferenza deve essere individuata anche nei casi di limitata o assente capacità di comunicazione del beneficiario

Il giudice tutelare deve concentrarsi sulla volontà del beneficiario anche in caso di comunicazione limitata. La decisione deve mirare, come indicato dalla giurisprudenza, a ricostruire la volontà della persona.

Le criticità dell’amministrazione di sostegno

  1. La professione di amministratore di sostegno L’istituto dell’amministrazione di sostegno in Italia ha generato preoccupazioni per le violazioni dei diritti fondamentali delle persone con disabilità e ha creato una vera e propria “professione”. Il bisogno di tali amministratori può favorire interessi legati ai giudici tutelari, che sfruttano conflitti e difficoltà nella gestione dei beneficiari.
  2. Il problema del numero di assistiti da un solo amministratore La gestione di un numero eccessivo di beneficiari da parte di un singolo amministratore compromette la qualità dell’assistenza e genera rendite elevate per l’amministratore, a scapito dei beneficiari. L’amministrazione di sostegno dovrebbe essere gratuita, come accadrebbe se fosse affidata a familiari o persone di fiducia.
  3. La caccia al beneficiario più ricco e fragile Si denuncia la crescente diffusione dell’amministrazione di sostegno come strumento per appropriarsi dei patrimoni degli anziani. L’indennità del giudice tutelare aumenta con la complessità e la dimensione del patrimonio da gestire, rendendo gli anziani facoltosi obiettivi appetibili. La loro fragilità viene spesso sfruttata per giustificare l’imposizione di un amministratore di sostegno esterno, spesso proposto da servizi socio-sanitari con interessi economici.
  4. L’effettiva dimensione dell’affare “amministrazione di sostegno” L’amministratore di sostegno sostituisce il beneficiario in tutte le decisioni, dalla scelta di un badante a quella di un commercialista, creando un indotto economico che penalizza la libertà del beneficiario.
  5. Il concreto funzionamento dell’amministrazione di sostegno L’estraneità dell’amministratore di sostegno al vissuto del beneficiario genera conflitti e difficoltà nella gestione quotidiana. Il beneficiario vive con insofferenza la dipendenza, contesta le decisioni dell’amministratore e cerca di ottenere giustizia dal giudice tutelare. L’amministratore diventa il bersaglio dei conflitti familiari, coinvolgendo il giudice tutelare in ogni scelta non condivisa.
  6. La secretazione della procedura del fascicolo telematico Una pratica diffusa nei procedimenti di amministrazione di sostegno è la secretazione del fascicolo telematico. Questo impedisce ai familiari e, spesso, allo stesso beneficiario, di accedere ai documenti e contestare eventuali decisioni.
  7. L’isolamento del beneficiario In alcuni casi, l’amministrazione di sostegno diventa uno strumento di controllo e limitazione della libertà del beneficiario, collocato in strutture come RSA o comunità alloggio. Queste strutture, per incentivare l’amministratore e il giudice tutelare, minimizzano i problemi e silenziano le lamentele del beneficiario.
  8. Il disastro finanziario Il sistema attuale porta a un disastro finanziario per chi mette in discussione le decisioni, costringendolo ad assumere avvocati e consulenti per essere ascoltato dal giudice tutelare. Nel frattempo, terzi soggetti traggono profitto dalla procedura, traendo guadagni dagli amministratori di sostegno, dai consulenti nominati dal tribunale e persino dai giudici tutelari.

Per testimonianze sulla realtà dell’amministrazione di sostegno, invitiamo i lettori a visitare il nostro canale YouTube per ascoltare direttamente le esperienze di chi l’ha vissuta https://youtube.com/@associazioneradicalediritt5504?si=3MHMTP1FjfwTZ3dA

✍ Firma entrambe le proposte di Legge di ‘Diritti alla Follia’ online 👉 https://bit.ly/4gadjYU

*Federico Valenti (Milano, 30 maggio 1999) studia giornalismo presso la scuola di Panorama e scrive per un magazine. Da sempre appassionato di informazione, storia, politica ed esteri, dedica il suo tempo all’analisi e alla divulgazione.

È attivamente impegnato nelle battaglie sociali, in particolare come membro dell’associazione Diritti alla Follia con cui collabora come editor e co-conduttore della rubrica “Rassegna Stampa”, contribuendo alla diffusione di notizie e approfondimenti.

Fonti:

  Codice civile sull’amministrazione di sostegno: L’articolo 404 del Codice Civile italiano disciplina l’istituto dell’amministrazione di sostegno. Puoi consultare il testo completo qui: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2004/01/19/004G0017/sg

  Documento di “Diritti alla Follia”: L’associazione “Diritti alla Follia” ha pubblicato un documento intitolato “La realtà dell’amministrazione di sostegno in Italia”, che analizza criticità e funzionamento dell’istituto. Il documento è disponibile ai seguenti link: https://dirittiallafollia.it/wp-content/uploads/2021/06/La-realta-dellamm-di-sostegno-in-Italia.pdf

La realtà dell’amministrazione di sostegno in Italia

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